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mercoledì 30 giugno 2010

Ex Eutelia, la Fiom: più di 800 lavoratori parte civile al processo

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Ex Eutelia, la Fiom: più di 800 lavoratori parte civile al processo

Sono oltre 800 i lavoratori dell’Agile-Eutelia che hanno aderito all’iniziativa promossa dalla Fiom per la costituzione delle lavoratrici e dei lavoratori come parte civile nel processo di Arezzo. Lo comunicano Laura Spezia e Fabrizio Potetti della Fiom-Cgil nazionale. «La Fiom-Cgil, oltre ad essersi costituita lei stessa parte civile, ha promosso la costituzione di parte civile delle lavoratrici e dei lavoratori di Eutelia, in seno al procedimento penale pendente ad Arezzo – che vede imputati i vertici dell’azienda per gravi reati». L’iniziativa, spiegano i due sindacalisti, «è finalizzata da un lato ad ottenere l’eventuale risarcimento dei danni subiti dai lavoratori, dall’altro ad affermare il principio per il quale l’iniziativa economica privata, qualora si svolga in contrasto con l’utilità sociale ed in pregiudizio della dignità dei singoli lavoratori, deve essere sanzionata». Oggi la raccolta di firme dei lavoratori si terrà nella sede della Fiom di Milano. Domani ad Arezzo la consegna dei mandati ricevuti da più di 800 lavoratori.




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martedì 29 giugno 2010

Lombardia. Sportelli per i poveri, gli italiani tornano a superare gli immigrati


Nel 2009 gli italiani assistiti dalle organizzazioni no profit lombarde hanno superato gli stranieri: 55,7 per cento contro il 44,3 per cento. Nel 2008 era l’opposto: gli immigrati infatti erano il 65,6 per cento. Complessivamente sono 270 mila le persone seguite dalle 1.587 organizzazioni lombarde: 150.390 gli italiani e 119.610 stranieri. La metà dell’utenza si concentra nella sola provincia di Milano. Sono i dati che emergono dal rapporto 2009 dell’Osservatorio regionale sull’esclusione sociale, presentato questa mattina al Pirellone. L’indagine dell’Osservatorio è stata condotta su un campione di 246 organizzazioni, rappresentative della totalità di quelle operanti in regione.
Nell’arco del 2009 l’insieme delle persone assistite dal campione di enti è aumentato di 4.988 unità rispetto al 2008. Proiettato sul totale delle organizzazioni, l’utenza è cresciuta di circa 32.200 persone: per ogni singola associazione c’è stata una variazione percentuale compresa tra il 10 e il 13 per cento. Tra gli assistiti si osserva una prevalenza delle donne rispetto agli uomini e circa una persona su cinque ha tra 0 e 17 anni, segno che la povertà sta colpendo particolarmente le famiglie con un minore a carico.

Fonte: www.redattoresociale.it



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lunedì 28 giugno 2010

Se il lavoro diventa una lotteria

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precariato

Se il lavoro diventa una lotteria

Accontentarsi di un lavoro sicuro purchessia è sicuramente un sogno modesto, che limita lo sviluppo delle proprie capacità e ambizioni. Ma per molti, oggi, più che mai sembra l' unico sogno possibile.


Li vediamo e ne parliamo perché il meccanismo dei concorsi li rende fisicamente visibili: nelle migliaia di domande che arrivano tutte assieme, nelle migliaia di corpi che fisicamente affollano i luoghi in cui si svolgono le prove. Molti sono giovani, ma tanti non lo sono più e sperano che il concorso segni un punto di svolta in una storia lavorativa frammentata e comunque sempre all' ombra della precarietà. Tutti sono attratti dalla sicurezza offerta dal pubblico impiego. Ma molti, giovani e meno giovani, decidono di fare il concorso soprattutto perché spinti dalla frustrazione di ricerche vane nel mercato privato, di contratti di lavoro temporanei, spesso sottopagati, quando non in nero, condizioni spesso umilianti.
Tutti sanno benissimo che anche questa volta le possibilità di farcela sono bassissime, anche quando si è in possesso delle qualifiche richieste e si ha la competenza professionale necessaria e magari anche qualche cosa in più. Troppo elevato è lo scarto tra numero di posti e concorrenti. Più che concorsi, dove ciascuno è messo in grado di competere ad armi pari e in condizioni trasparenti con tutti gli altri, è come comprare un biglietto della lotteria, sperando contro ogni probabilità statistica che sia quello vincente. Per questo c' è anche chi si presenta ai concorsi pur non avendo i requisiti minimi, o pur sapendo di non avere le competenze adatte (succede anche nei concorsi universitari). Se è una lotteria, perché non tentare la fortuna? Anche se è una lotteria costosa, per chi la bandisce e per chi ci partecipa e il numero dei concorrenti non fa aumentare l' importo del monte premi, ma riduce solo le possibilità di vincere.
Era probabilmente sbagliato anche negli anni Cinquanta e Sessanta ironizzare sul mito del posto fisso, possibilmente statale e sui partecipanti ai concorsi pubblici, immortalati dal film di Olmi "Il posto": ritratto insieme crudele e impietoso dell' Italia del boom economico, in cui la sicurezza sembrava un sogno modesto, da piccoli travet, ma anche a portata di mano. La sicurezza di un reddito è ciò che, per la maggioranza di chi non vive di renditae non ha altro capitale che la propria capacità di lavoro, fa differenza tra poter costruire qualche modesto progetto di vita o rassegnarsi a vivere alla giornata, spesso dovendo contare sulla solidarietà famigliare.
C' è molta arroganza in chi, sicuro nella propria posizione sociale, ironizza sul desiderio di sicurezza altrui. Tanto più oggi. Dopo anni di slogan sulla meschinità, mancanza di (auto) imprenditorialità, incapacità di cambiare di chi si accontenta di un posto sicuro, molti - troppi - hanno sperimentato direttamente sulla propria pelle o nella propria famiglia che il dinamismo del mercato del lavoro ha distrutto più posti di lavoro di quanti non ne abbia creati e che l' "occupabilità" per molti è altrettanto irraggiungibile della occupazione. Lungi dal passare da un' occupazione all' altra, molti giovani e meno giovani hanno sperimentato la disoccupazione di lunga durata, contratti brevissimi seguiti da periodi senza lavoro, spesso anche senza alcuna rete di protezione. Accontentarsi di un lavoro sicuro purchessia è sicuramente un sogno modesto, che limita lo sviluppo delle proprie capacità e ambizioni. Ma per molti, oggi, più che mai sembra l' unico sogno possibile. Più che ironizzare o scandalizzarsi, occorrerebbe riflettere su come costruire un orizzonte minimo di sicurezza senza dover assumere tutti a vita. E dove l' occupabilità non sia la versione nobile della disoccupazione.


- CHIARA SARACENO



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venerdì 25 giugno 2010

OGGI ACCADRA'. 25 giugno, lo sciopero della Cgil

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Si tiene OGGI , venerdì 25 giugno, lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Sarà, in linea di massima, di otto ore nei settori pubblici e di quattro ore nel settore privato. In Emilia Romagna, Lombardia, Abruzzo, Marche, Molise e Umbria, e nella provincia di Cagliari, lo sciopero sarà di otto ore sia nei settori pubblici sia in quelli privati. In Calabria l’astensione sarà di otto ore, oltre che nel pubblico, anche nei settori del lavoro portuale, del legno, delle costruzioni e dell’edilizia. Lo sciopero sarà di otto ore anche in numerose categorie del terziario, della distribuzione, dei servizi e del turismo e nel settore domestico. I servizi essenziali saranno ovunque garantiti.
Manifestazioni si svolgeranno in molte città italiane con cortei e comizi, ma in questi giorni si mobilitano i sindacati in tutta Europa. In Francia lo sciopero generale è oggi 24 giugno, contro la riforma delle pensioni; in Portogallo l’8 luglio; nei giorni scorsi scioperi e manifestazioni si sono avuti in Germania, Spagna, Grecia, Norvegia, Romania, Svezia, Danimarca e Finlandia. «Oggi in Europa – ha detto Guglielmo Epifani – le grandi organizzazioni sindacali sono unite nel combattere contro le ingiustizie e i tagli. Possibile che Cisl e Uil non vedano quello che sta accadendo?»

In Emilia Romagna sono previsti due cortei dalle 8,30 a Bologna: uno da piazza Dell’Unità e l’altro da piazza Azzarita. In Lombardia lo stop sarà di otto ore, con una manifestazione regionale a Milano dai Bastioni di Porta Venezia a piazza del Duomo. In Umbria due manifestazioni, a Perugia e a Terni. A Napoli si terrà il corteo regionale della Campania: concentramento alle 9 in piazza Mancini, corteo su corso Umberto I e comizio conclusivo in piazza Matteotti. Manifestazione anche a Reggio Calabria dalle 9,30 in piazza Campagna. A Cagliari un corteo: concentramento alle 9 in piazza Garibaldi, conclusioni in piazza del Carmine. A Palermo, per la manifestazione regionale siciliana, concentramento alle 9,30 in piazza Croci e corteo fino a Piazza Verdi. Altre manifestazioni sono previste a Roma, in tutte le province del Veneto, delle Marche della Basilicata e della Calabria, a Trieste, a L’Aquila, nel Molise e in Puglia. Il 2 luglio sciopereranno le regioni Liguria [esclusa la provincia di La Spezia che si fermerà il 25 giugno], Toscana e Piemonte.

Anche i medici domani aderiscono allo sciopero generale per l’intero turno di lavoro, insieme a tutti gli operatori della sanità. Potranno saltare le attività programmate – come gli interventi, le visite e gli esami diagnostici – negli ospedali e nei presidi territoriali della Asl, ma saranno garantite le urgenze. «La nostra protesta – ha dichiarato Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil Medici- continuerà anche insieme agli altri sindacati medici con il blocco degli straordinari dal primo luglio e con lo sciopero nazionale unitario del 19 luglio». Nello sciopero indetto dalla Cgil «saranno presenti anche i temi della libera informazione e della giustizia, dei tagli alla cultura allo spettacolo e all’editoria, delle gravissime ripercussioni che questi comportano per l’occupazione in questi settori». Lo ha annunciato il segretario confederale Fulvio Fammoni. Il quale ha aggiunto che «domani, in tutte le piazze, sarà diffuso e letto l’appello per la manifestazione del primo luglio a piazza Navona», indetta dalla federazione nazionale della stampa [Fnsi]. Inoltre, in diverse piazze d’Italia, prenderanno la parola lavoratori del mondo dell’informazione e della cultura, mentre i lavoratori poligrafici e dell’emittenza privata sciopereranno in concomitanza con la «giornata del silenzio» del 9 luglio. «Il tema ‘no a i tagli e ai bavagli’ fa parte a pieno titolo – ha concluso Fammoni – della piattaforma per il diritto al lavoro, per lo sviluppo, contro tagli iniqui e per la difesa del dettato costituzionale».


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giovedì 24 giugno 2010

LA MINESTRA RANCIDA SE LA MANGIA IL PADRONE













Nonostante che il padrone avesse deciso che chiudendo Termini Imerese era possibile ricominciare a produrre la Fiat Panda in Italia. Nonostante che i sindacati complici avessero deciso di firmare. Nonostante l’appoggio dell’intero governo. Nonostante che quasi tutti i giornali abbiano pubblicato fantasiose ricostruzioni sul tasso di assenteismo. Nonostante tutti quelli che in perfetto stile da bar continuavano a ripetere che non era possibile tollerare assenze dell’ottanta per cento al sabato sera. Nonostante che la Cgil nazionale e la Cgil campana avessero fatto capire più volte che la Fiom era irresponsabile. Nonostante il maglioncino casual e gli studi da liberal del manager che ha studiato in Canada piacessero anche ai presunti leader o ex leader della sinistra. Nonostante che i giornali sedicenti di sinistra come la Repubblica continuassero a ripetere che non ci sono alternative. Perchè il mercato, il capitalismo e la finanziarizzazione dell’economia sono immutabili, è un dato di natura, ovviamente. Nonostante la sparizione di ogni forma di compromesso socialdemocratico. Nonostante che Fassino pur di far passare tutto abbia anche pensato di essere un operaio. Nonostante le dichiarazioni di Chiamparino, Ichino, Letta di destra e Letta di sinistra. Nonostante che i sindacalisti della Fismic abbiano parlato di alleanza nichilista tra ideologi e fancazzisti. Nonostante le intempestive dichiarazioni del Ministro Sacconi che si affrettava a dichiarare che da oggi l’Italia era cambiata. Nonostante i DVD della Fiat che spiegavano che altrimenti la fabbrica chiudeva. Nonostante avessero richiamato a votare anche i cassintegrati. Nonostante abbiano tentato di fare una marcia bis dei quarantamila, ma fossero solo 2000 tra giornalisti, sindaci, presidenti della regione e giornalisti. Ecco, nonostante questo più del 30 % degli operai di Pomigliano li ha mandati a quel paese. Gli hanno detto che se la minestra diventa sempre più rancida è giusto che se le mangi anche il padrone, il sindacalista che dice sempre di sì, il politico del governo, l’editorialista della Repubblica, della Stampa del padrone. Tutta questa gente che ragionevolmente ha capito tutto dell’economia e del lavoro e distribuisce patenti di fannullone, assenteista, ideologo a gente che passa otto ore su una catena di montaggio. Hanno fatto quello che gli avevano gentilmente suggerito gli impiegati di Tichy che si sono stufati di subire tutto anche loro. Che il vento stia cambiando?
Roberto




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I disoccupati-desaparecidos di Caserta

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Mille iscritti nelle liste ma introvabili. "Clandestini o lavorano al nero". La denuncia del Centro per l'impiego confermata dal rapporto del Censis. Raddoppia il tasso dei senza lavoro stranieri


di TIZIANA COZZI



Scomparsi. Introvabili. Caduti nella trappola del lavoro nero. Emigrati nei campi di raccolta del Sud. Risucchiati dalla clandestinità. Sono più di mille i lavoratori iscritti all'anagrafe dei disoccupati della provincia di Caserta (su 38.174 presenti negli elenchi del Sistema del lavoro provinciale) che negli ultimi mesi hanno fatto perdere le loro tracce. La denuncia arriva dal Centro per l'impiego di Maddaloni. "È un fenomeno in aumento che va di pari passo con la crisi del lavoro - spiega Teresa Cresci, responsabile del Centro - nei nostri elenchi ci sono centinaia di persone che non vediamo da mesi. Non sappiamo se hanno trovato occupazione, se sono ancora residenti nella nostra provincia".

Un fatto confermato dalla recente elaborazione Censis, su dati del settore Politiche del lavoro della Provincia di Caserta. Nell'ultimo anno sono 1.383 i lavoratori immigrati che hanno rilasciato la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, il tasso di disoccupazione straniera è più che raddoppiato (+58,6 per cento) rispetto al 2008. Le dichiarazioni sono passate dalle 872 del 2008 alle 1.383 del 2009. Un dato record. Un aumento significativo rispetto al 2007, quando i disoccupati erano diminuiti da 1.019 a 872.

Nella provincia di Caserta, nel 2009 8.241 immigrati si sono visti interrompere il rapporto di lavoro, il 67,3 per cento erano uomini (soprattutto rumeni e albanesi ma il problema vale anche per gli africani, più restii a frequentare i centri per l'impiego), il 32,7 per cento donne (per lo più ucraine). Molti dei loro nomi sono finiti nelle liste fantasma dei Centri per l'impiego. In tanti si iscrivono subito, è la trafila necessaria per non perdere il permesso di soggiorno. Ma se non trovano lavoro entro 6 mesi diventano clandestini. "Dalle nostre parti è diminuita drasticamente l'offerta di lavoro - continua la Cresci - mentre la domanda resta sempre molto alta. Qui anche i cittadini italiani restano a bocca asciutta. Il lavoro più facile da trovare ora è quello nero, magari sono in tanti gli stranieri rimasti in zona ma che non hanno un lavoro regolare. Oppure si sono spostati, hanno cambiato regione".

Un fenomeno che potrebbe allargarsi a macchia d'olio. "Il punto più problematico è Castel Volturno - spiega Michele Orlando, dirigente del settore Politiche del lavoro della Provincia di Caserta - dove su 7.000 immigrati presenti in zona, soltanto 213 sono iscritti nelle liste di disoccupazione. Gli altri centri traboccano di disoccupati. Negli ultimi mesi non abbiamo ricevuto neanche una richiesta di trasferimento. E questo vuol dire che il sommerso domina". I disoccupati più numerosi sono nella provincia di Aversa (22,8 per cento), seguiti da Caserta (21,8 per cento) e Casal di Principe (18,7 per cento).

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/06/23/news/i_disoccupati-desaparecidos_di_caserta-5077884/

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Pomigliano. Hanno vinto i SI. Hanno perso Marchionne e Berlusconi. E ora che fare?


DI : Gianni Rossi,

Pomigliano. Hanno vinto i SI. Hanno perso Marchionne e Berlusconi. E
 ora che fare? 

Referendum Fiat     Per Marchionne questo risultato è senz'altro negativo, rispetto alle sue aspettative e alle sprezzanti parole dette contro i sindacati e gli stessi operai. Ora la FIAT o riapre la trattativa anche con la FIOM-CGIL e accetta di modificare le clausole anticostituzionali del contratto per investire i 700 milioni di euro, oppure imbocca una strada senza via di uscita: quella della chiusura dello stabilimento con la riapertura "alla cinese" di una Nuova FIAT Pomigliano e, di fatto, innescare le tensioni sociali verso un "autunno caldo" già in piena estate



Alla FIAT di Pomigliano d'Arco la "pistola fumante" del Referendum ha sancito il suo verdetto: 62% SI e 38% Contrari (36,6% NO ai quali si aggiungono schede nulle e bianche). Ha perso la democrazia di base dei lavoratori, ma hanno perso anche l'amministratore delegato Marchionne che sul "plebiscito" al "prendere o lasciare" aveva basato la sua linea di imprenditoria "alla cinese", insieme a lui Berlusconi e i suoi corifei di estrazione socialista: il ministro del Welfare, Sacconi, dell'economia, Tremonti, e della funziona pubblica, Brunetta. Al "Trio Lescano" dai garofani rosso-antico non pareva vero riuscire a piegare la FIOM e con essa l'intera CGIL, il vero obiettivo della loro trasformazione genetica politica, da quando con malcelato odio e spirito di vendetta si sono gettati nelle braccia del Sultano di Arcore.
E con la CGIL, ovviamente, andava colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori, che Sacconi e Brunetta vedono come il fumo negli occhi. Che strano destino questo degli ex-socialisti (al Trio Lescano vanno aggiunti anche il ministro degli esteri Frattini e il capogruppo alla Camera Cicchitto)! Sembrano gli epigoni di quei socialisti rivoluzionari, quegli anarco-sindacalisti, che delusi dalle lotte operaie dei primi anni Venti, guidate dal neonato PCI e dalla CGIL, si affrettarono a ingrossare le fila dei Fasci combattenti dell'ex-leader socialista, nonché ex-direttore dell'Avanti, organo del PSI, Benito Mussolini.
Non siamo a quei tempi né la storia si ripete. Ma è nei meandri di una certa visione del socialismo individualista, del "conservatorismo compassionevole", dell'odio contro tutto ciò che sa di "comunismo scientifico", di marxismo, che vanno ritrovate le origini di questa mutazione genetica, che ha spesso portato esponenti socialisti a diventare le colonne portanti dell'iperliberismo e i più fedeli alleati dell'uomo solo al comando: Silvio Berlusconi.
Di fronte alla prospettiva dura e inumana di accettare un contratto anticostituzionale e "cinese" (altro che polacco, visto che comunque gli operai delle fabbriche FIAT in Polonia sono tutelati dagli ordinamenti dell'Unione Europea!), oppure di essere tutti licenziati, gli operai della FIAT di Pomigliano hanno dimostrato un forte senso di attaccamento alle regole democratiche e alla "loro fabbrica": al 95% sono andati a votare, ma solo 4 su 6 hanno detto sì al Referendum capestro.
Per Marchionne questo risultato è senz'altro negativo, rispetto alle sue aspettative e alle sprezzanti parole dette contro i sindacati e gli stessi operai. Vorremmo ricordare che neppure l'arcigno Cesare Romiti, l'uomo che si oppose alla CGIL di Lama e al PCI di Berlinguer, che organizzò la marcia dei 40 mila tra quadri, impiegati e dirigenti nel 1980 per stroncare la protesta operaia di Mirafiori, neppure lui che rilanciò la FIAT con pugno di ferro (dopo aver "cacciato" l'ingegner De Benedetti, troppo legato alla "finanza creativa" e ritenuto "troppo di sinistra") ebbe mai un comportamento così protervo e sprezzante nei confronti dei lavoratori e dei suoi rappresentanti sindacali.
Altri tempi, altre idee, altri uomini!
Fatto sta che ora la FIAT o riapre la trattativa anche con la FIOM-CGIL e accetta di modificare le clausole anticostituzionali del contratto per investire i 700 milioni di euro e produrre la nuova Panda, oppure imbocca una strada senza via di uscita: quella della chiusura dello stabilimento con la riapertura "alla cinese" di una Nuova FIAT Pomigliano e, di fatto, innescare le tensioni sociali verso un "autunno caldo" già in piena estate.
E' proprio questo, quello che vuole la "punta di diamante" del capitalismo industriale italiano?
Mortificare gli operai, stravolgere le regole di contratti appena firmati (che strano, però, quando quello dei metalmeccanici fu siglato, senza l'assenso della FIOM, gli altri sindacati negarono il Referendum!), fare carta straccia dello Statuto dei lavoratori e della Costituzione e dettare nuove regole in materia di organizzazione industriale e di tutele, non porta altro che alla conflittualità permanente, all'esasperazione sia dei garantiti (lavoratori a tempo indeterminato, cassaintegrati) sia dei cosiddetti "flessibili" (gli stagionali, quelli a contratto determinato, i giovani in cerca di prima occupazione).
Già la FIAT ha deciso di spostare in Polonia le linee di produzione di Termini Imerese e, di fatto, compensare la fabbrica polacca dello spostamento a Pomigliano della linea Panda. A Pomigliano non si farà, stando all'accordo, nessuna ricerca e innovazione di prodotto, come nel passato nobile di quella fabbrica, che andrebbe ricordato allo "smemorato" Marchionne: la Panda, in effetti, è il prodotto che nella gamma FIAT (comprese Lancia e Alfa Romeo) è a minor tasso di innovazione tecnologica e lo si porta in uno stabilimento che, storicamente, è stato all'avanguardia per la parte motoristica con le invenzioni del motore boxer, del primo turbo per vetture diesel, del common rail, che anche se non prodotto a Pomigliano era progettato dalla vicina Elasis.
Insomma, i lavoratori del SUD, anche se Pomigliano resta, perdono molto in occupazione e diritti (che fine hanno fatto le tante "mirabolanti offerte" per Termini Imerese, strombazzate dall'ex-ministro Scajola?); mentre quelli polacchi avranno le giuste compensazioni. La FIAT si concentrerà per la "green economy" negli stabilimenti americani della Chrysler, grazie agli aiuti di stato elargiti da Obama a tutti i settori industriali per uscire dalla crisi. E qui in Italia resterà una produzione residuale: la "casa di campagna" della famiglia Agnelli e dei suoi nuovi amministratori, tutti un po' più internazionali, ma certo tutti "smemorati" dei 50 anni di aiuti di stato, di imposizioni politiche, di "governi amici", di lotte e violenze, di dirigenti gambizzati e operai-sindacalisti della FIOM uccisi, come Guido Rossa, dalla furia omicida delle Brigate Rosse.
"Quello che sta bene alla FIAT, va bene al paese", recitava con orgoglio l'avvocato Gianni Agnelli, nel bene e nel male. Ma le regole venivano attuate e c'era il rispetto reciproco. Ora, nel regime mediatico autocratico, tutto sembra venga giocato nello scenario virtuale di dichiarazioni roboanti, di proposte ad effetto, di provocazioni politiche.
Che strana stagione questa, fatta di diritti negati, stravolti, calpestati!
Il Sultano Berlusconi nell'autunno del suo regime usa tutti i marchingegni delle regole parlamentari e delle leggi, per svuotare la Carta Costituzionale ed asservire la volontà popolare al suo disegno da "golpista bianco". Laddove non arriva con la sua maggioranza d'acciaio, entra a piedi uniti con i suoi tanti conflitti di interesse (RAI, banche, assicurazioni, pubblicità, cinema, TLC, energia).
Il caso dello stabilimento FIAT di Pomigliano d'Arco è di per sé quindi paradigmatico.
Con l'opposizione che balbetta, anzi si prodiga per far accettare "l'amaro calice" del contratto "cinese" ai lavoratori, e i sindacati divisi, Berlusconi ha gioco facile attraverso tutti i suoi media TV e con la "complicità intellettuale" della libera stampa, anche se contraria su altri temi, a far passare il pensiero unico di questo vetero-capitalismo familista italiano, assistito dalle sovvenzioni pubbliche e dedito alle speculazioni finanziarie, anziché agli investimenti e alla ricerca, alla continua richiesta di nuovi condoni ed esenzioni fiscali, tutto preso dalle delocalizzazioni e dai giochi di potere politico.
Ma dove sono finiti i "capitani coraggiosi" e "progressiti": De Benedetti, Montezemolo, Della Vallle, lo stesso Marchionne, prima di Pomigliano, e la Marcegaglia (da giovane imprenditrice era una fan di Prodi e ora è al servizio di Berlusconi), i Colaninno, i Merloni e i Pininfarina, gli Abete?
E' la fine di un'era: il capitalismo familistico italiano nella crisi più nera del sistema capitalistico iperliberista si è ridotto orami solo a chiedere protezioni, aiuti diretti e indiretti, prepensionamenti, delocalizzazioni, casse integrazioni a gogò.
Servirebbe, in realtà, un Piano di Rinascita e Sviluppo industriale, che poggi su energie rinnovabili, su nuove tecnologie e brevetti, quindi ricerca ad alto livello: tutto questo crea nuova occupazione e fa uscire l'Italia dalla Depressione.
L'auto, dicono gli esperti, è un prodotto finito, che non fa guadagnare molto ed è troppo costoso all'origine.
E se provassimo a modificare nel profondo il concetto di mobilità? Più trasporti pubblici, non inquinanti, su rotaia e filobus e, dove ci sono i fiumi, anche fluviale, e meno auto nelle città? Più investimenti per ridurre gli attuali sistemi di trazione a motore, scegliendo energie ecocompatibili, come l'idrogeno-acqua, e l'elettrico fotovoltaico con cellule all'idrogeno?
Se seguissimo, insomma, l'esempio degli Stati Uniti, senza delocalizzare lì i nostri centri di ricerca e sviluppo, oltre all'anima "finanziaria" delle nostre grandi e medie industrie?
Gli operai di Pomigliano con questo voto hanno dato un segnale forte alla FIAT e al paese intero. Tocca a noi, alla libera stampa, agli intellettuali, ai partiti di opposizione, ai movimenti della società civile intercettare questi segnali e far ripartire la "creatività dell'intellettuale collettivo", come diceva Gramsci, per far uscire il nostro paese dal regime e dalla più grave crisi economica e sociale dalla nascita della Repubblica.




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martedì 22 giugno 2010

Si spingono in basso salari e condizioni di lavoro per allinearli ai Paesi emergenti

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lavoro

La globalizzazione dell´operaio

Si spingono in basso salari e condizioni di lavoro per allinearli ai Paesi emergenti


È possibile che la Fiat non abbia davvero alcuna alternativa. O riesce ad avvicinare il costo di produzione dello stabilimento di Pomigliano a quello degli stabilimenti siti in Polonia, Serbia o Turchia, o non riuscirà più a vendere né in Italia né altrove le auto costruite in Campania. L´industria mondiale dell´auto è afflitta da un eccesso pauroso di capacità produttiva, ormai stimato intorno al 40 per cento. Di conseguenza i produttori si affrontano con furibonde battaglie sul fronte del prezzo delle vetture al cliente.

A farne le spese, prima ancora dei loro bilanci, sono i fornitori (che producono oltre due terzi del valore di un´auto), le comunità locali che vedono di colpo sparire uno stabilimento su cui vivevano, e i lavoratori che provvedono all´assemblaggio finale. I costruttori che non arrivano a spremere fino all´ultimo euro da tutti questi soggetti sono fuori mercato.

Va anche ammesso che davanti alla prospettiva di restare senza lavoro in una città e una regione in cui la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, ha già raggiunto livelli drammatici, la maggioranza dei lavoratori di Pomigliano - ben 15.000 se si conta l´indotto - è probabilmente orientata ad accettare le proposte Fiat in tema di organizzazione della produzione e del lavoro. La disperazione, o il suo approssimarsi, è di solito una cattiva consigliera; ma se tutto quello che l´azienda o il governo offrono è la scelta tra lavorare peggio, oppure non lavorare per niente, è quasi inevitabile che uno le dia retta.

Una volta riconosciuto che forse l´azienda non ha alternative, e non ce l´hanno nemmeno i lavoratori di Pomigliano, occorre pure trovare il modo e la forza di dire anzitutto che le condizioni di lavoro che Fiat propone loro sono durissime. E, in secondo luogo, che esse sono figlie di una globalizzazione ormai senza veli, alle quali molte altre aziende italiane non mancheranno di rifarsi per imporle pure loro ai dipendenti.


Allo scopo di utilizzare gli impianti per 24 ore al giorno e 6 giorni alla settimana, sabato compreso, nello stabilimento di Pomigliano rinnovato per produrre la Panda in luogo delle attuali Alfa Romeo, tutti gli addetti alla produzione e collegati (quadri e impiegati, oltre agli operai), dovranno lavorare a rotazione su tre turni giornalieri di otto ore. L´ultima mezz´ora sarà dedicata alla refezione (che vuol dire, salvo errore, non toccare cibo per almeno otto ore). Tutti avranno una settimana lavorativa di 6 giorni e una di 4. L´azienda potrà richiedere 80 ore di lavoro straordinario a testa (che fanno due settimane di lavoro in più all´anno) senza preventivo accordo sindacale, con un preavviso limitato a due o tre giorni. Le pause durante l´orario saranno ridotte di un quarto, da 40 minuti a 30. Le eventuali perdite di produzione a seguito di interruzione delle forniture (caso abbastanza frequente nell´autoindustria, i cui componenti provengono in media da 800 aziende distanti magari centinaia di chilometri) potranno essere recuperate collettivamente sia nella mezz´ora a fine turno - giusto quella della refezione - o nei giorni di riposo individuale, in deroga dal contratto nazionale dei metalmeccanici. Sarebbe interessante vedere quante settimane resisterebbero a un simile modo di lavorare coloro che scuotono con cipiglio l´indice nei confronti dei lavoratori e dei sindacati esortandoli a comportarsi responsabilmente, ossia ad accettare senza far storie le proposte Fiat.


Non è tutto. Ben 19 pagine sulle 36 del documento Fiat consegnato ai sindacati a fine maggio sono dedicate alla "metrica del lavoro." Si tratta dei metodi per determinare preventivamente i movimenti che un operaio deve compiere per effettuare una certa operazione, e dei tempi in cui deve eseguirli; misurati, si noti, al centesimo di secondo. Per certi aspetti si tratta di roba vecchia: i cronotecnici e l´analisi dei tempi e dei metodi erano presenti al Lingotto fin dagli anni 20. Di nuovo c´è l´uso del computer per calcolare, verificare, controllare movimenti e tempi, ma soprattutto l´adozione a tappeto dei criteri organizzativi denominati World Class Manufacturing (Wcm, che sta per "produzione di qualità o livello mondiale"). Sono criteri che provengono dal Giappone, e sono indirizzati a due scopi principali: permettere di produrre sulla stessa linea singole vetture anche molto diverse tra loro per motorizzazione, accessori e simili, in luogo di tante auto tutte uguali, e sopprimere gli sprechi. In questo caso si tratta di fare in modo che nessuna risorsa possa venire consumata e pagata senza produrre valore.


La risorsa più preziosa è il lavoro. Un´azienda deve quindi puntare ad una organizzazione del lavoro in cui, da un lato, nemmeno un secondo del tempo retribuito di un operaio possa trascorrere senza che produca qualcosa di utile; dall´altro, il contenuto lavorativo utile di ogni secondo deve essere il più elevato possibile. L´ideale nel fondo della Wcm è il robot, che non si stanca, non rallenta mai il ritmo, non si distrae neanche per un attimo. Con la metrica del lavoro si addestrano le persone affinché operino il più possibile come robot.

È qui che cadono i veli della globalizzazione. Essa è consistita fin dagli inizi in una politica del lavoro su scala mondiale. Dagli anni 80 del Novecento in poi le imprese americane ed europee hanno perseguito due scopi. Il primo è stato andare a produrre nei paesi dove il costo del lavoro era più basso, la manodopera docile, i sindacati inesistenti, i diritti del lavoro di là da venire. Ornando e mascherando il tutto con gli spessi veli dell´ideologia neo-liberale. Al di sotto dei quali urge da sempre il secondo scopo: spingere verso il basso salari e condizioni di lavoro nei nostri paesi affinché si allineino a quelli dei paesi emergenti. Nome in codice: competitività. La crisi economica esplosa nel 2007 ha fatto cadere i veli della globalizzazione. Politici, industriali, analisti non hanno più remore nel dire che il problema non è quello di far salire i salari e le condizioni di lavoro nei paesi emergenti: sono i nostri che debbono, s´intende per senso di responsabilità, discendere al loro livello.


È nella globalizzazione ormai senza veli che va inquadrato il caso Fiat. Se in Polonia, o in qualunque altro paese in sviluppo, un operaio produce tot vetture l´anno, per forza debbono produrne altrettante Pomigliano, o Mirafiori, o Melfi. È esattamente lo stesso ragionamento che in modo del tutto esplicito fanno ormai Renault e Volkswagen, Toyota e General Motors. Se in altri paesi i lavoratori accettano condizioni di lavoro durissime perché è sempre meglio che essere disoccupati, dicono in coro i costruttori, non si vede perché ciò non debba avvenire anche nel proprio paese. Non ci sono alternative. Per il momento purtroppo è vero. Tuttavia la mancanza di alternative non è caduta dal cielo. È stata costruita dalla politica, dalle leggi, dalle grandi società, dal sistema finanziario, in parte con strumenti scientifici, in parte per ottusità o avidità. Toccherebbe alla politica e alle leggi provare a ridisegnare un mondo in cui delle alternative esistono, per le persone non meno per le imprese.


 la Repubblica

di Luciano Gallino

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Lavoratori della Scala in piazza: 'Bondi, cambia mestiere'

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Video |
Lavoratori della Scala in piazza: 'Bondi, cambia mestiere'

http://www.c6.tv/archivio?task=view&id=9753



Milano. Messa da requiem per i lavoratori della cultura in Italia che si sono ritrovati davanti al tempio della lirica milanese, la Scala, per gridare la loro protesta contro il decreto che taglia i fondi. Abbiamo incontrato Roberto D'Ambrosio, tecnico delle luci della Scala e Giusy Zeverino, ballerina del teatro. Due storie simboliche che raccontano di un disagio diffuso e di una paura reale: quella della desertificazione culturale nel nostro paese. Entrambi dopo anni di precariato, venti per Roberto e otto per Giusy, hanno fatto causa al teatro vincendo, ma ora con il nuovo decreto rischiano di nuovo il posto. Servizio ed interviste di Federica Giordani

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lunedì 21 giugno 2010

Cosa stiamo perdendo a Pomigliano.




Io non sono un economista, non che questo mi provochi dolore o senso di mancanza, non ho mai avuto né padronanza ed ancor meno confidenza con la visione numerica dell’universo, certo so che esiste e so che fa parte dell’immenso concerto delle sfere, ma non per questo riesco a digerirla.
Forse però questo non vi riguarda e, probabilmente, nemmeno vi interessa, ma serve a definire il taglio di quello che io sono e di perchè scrivo come scrivo.
Bene ed ora parliamo di quello di cui voglio dissertare con voi, di Pomigliano.

Cosa sta succedendo là?

Non mi interessa, per le ragioni di cui sopra, di trovare ardite giustificazioni, non mi riguardano le equazioni equilibristiche che vengono addotte a ragione della lesione della libertà e dell’umano rispetto, per l’unica ragione di ottenere la quadratura di un postulato che parte dalla premessa di giustificare lo sfruttamento e l’appropriazione di valore aggiunto
Molti, con maggiore competenza della mia sulla storia del movimento operaio, stanno intervenendo su questo argomento, analizzando i contro mentre molti altri stanno altrettanto dottamente analizzando i pro e, con mia somma tristezza, questi maestri di opportunità non sono nemmeno tutti realmente riconducibili all’area padronale.

Ammesso che sia ancora possibile l’operare distinzioni.
Per questa ragione non vi parlerò quindi dei risvolti sindacal-economici della questione. Vorrei discutere con voi d’altro, di quello che Pomigliano sembra tirare fuori mettere in luce, far risaltare in modo, tutto sommato abbatanza impietoso.

Vorrei poter parlare di noi stessi, per esempio, che ci accorgemmo ad un certo punto del percorso d’aver avuto un approccio troppo ideologico…ed allora buttammo tutto, acqua, bambino, bandiere, nell’assurdo terrore d’essere, come Pietro identificati come seguaci del Nazareno.
Oggi, ci rendiamo conto che qualche cosa di troppo lo abbiam buttatto, permettetemi di dire l’avete anche se questo respingere, questo estraniarsi non può servire a giustificazione, però a me nessuno ha mai chiesto nulla!

Ho solo assistito a questo parossistico abbattersi di bandiere ed ho visto amici sino al giorno prima marxisti diventare improvvisamente liberal-democratici. Devo però confessarvi che io stesso ho sempre vissuto con fastidio certo operaismo e quella cemtralità operaia che mi sembrava…così poco lungimirante, così ristretta. Però attenzione, come ho detto sopra nel parossismo dell’adeguamento ai tempi abbiamo troppo spesso buttato bambino e bandiere e quelli ci servivano…per resistere e sopravvivere sino alla prossima occasione.
Questo attacco che L’area di Progresso sembra vedere solo di sghimbescio, fra una pausa e l’altra di temi , ritenuti a torto più importanti(perchè, diciamolo, ormai gli operai, ma che cazzo sono?) in questo attacco al lavoro signori perderemo un poco di libertà, un poco di forza, molta dignità, e quando ci sveglieremo in un mondo diverso ci chiederemo dove mai sia cominciato…bhè ve lo dico io a Pomigliano, dove potremmo perdere anche l’onore.
Un altro aspetto di cui vorrei parlarvi è l’assoluta stupidità con ci siamo predisposti a questa trappola, quando permettemmo in modo , tutto sommato silente, che ci ingannassero prima con Un’Europa del tutto inventata e poi con il W.T.O. Quando tacemmo, abbagliati dal libero mercato (molta di quella che si autodefinisce sinistra quanto meno). Sull’altare di un’unità solo finanziaria e bancaria accettammo, molto, troppo, nella libera Europa sono entrati paesi dove i diritti sono un’opinione, perchè non è sui diritti che è basata l’unità stessa…differenza che diventa tanto più gigantesca quando si parli di W.T.O e di Cina…questa differenza sta portando alla devastazione, permettendo ad un capitale sempre meno umanizzabile, lui sì con idee molto chiare su cosa gli convenga della globalizzazione, di fare della delocalizzazione un volano dei guadagni ed un Killer dei diritti.

Questo che oggi abbiamo lo abbiamo però ottenuto con un lungo silenzio, con una lunghissima condivisione, con una parentesi dolorosissima di spostamento verso l’unico pensiero e l’unico mondo possibile, con l’accettazione supina d’una cultura che , noi stessi abbiamo contribuito a fare dominante.

Oggi si fanno discorsi ineluttabili…si restringono le scelte dichiarando che il percorso di Pomigliano sia l’unico possibile…con logica degna della Lady di Ferro e del suo contraltare Reaganiano.
Mai come oggi l’attacco ai lavoratori è stato palese, mai come oggi si è messa in discussione l’area dei diritti, con l’intenzione di ottenere una…nuova visione del mondo del lavoro. Quello che perderemo a Pomigliano sarà perso per sempre e per tutti. Quello che stanno cercando di porre è il precedente…che determini una nuova base di trattativa, per fare questo devono scardinare la FIOM, per fare questo si avvalgono della cortese e del tutto gratutita collaborazione delle amichevole e colla borative CISL e UIL, scardinare la FIOM-CGIL dicevamo, rompere l’anomalia che essa costituisce nell’area, ultimo rimasuglio storico d’una deriva socialdemocratica nel corpo del PD…una volta tolta questa antica incrostazione il lavoro sarà a buon punto ed il progetto Piduista quasi realizzato. Da lì in poi sarà pressochè lo stesso, “finalmente lo stesso” per molti, che sia al governo l’uno o l’altro, davvero non avrà più senso il riferirsi ad un’opinabile sinistra, a questo punto culturalmente inesistente.

Chiunque governi rappresenterà, davvero i medesimi interessi.

Questo avviene con la collaborazione di molti all’interno delll’area di opposizione e dell’area sindacale, sulle spalle dei lavoratori, perchè comunque diciamolo, se questi sono così sfigati da essere operai non sarà mica colpa dei sindacalisti o dei dirigenti o degli impiegati. L’ho già detto ma vale la pena ripeterlo anche se il termine può apparire demodè ed un poco anacronistico, noi perderemo l’onore a Pomigliano e la dignità…ed avremo perso molto, forse tutto.
Sembra grottesco oggi richiamare all’importanza del movimento operaio, ma è così, se oggi si perde a Pomigliano la civiltà di questo paese arretra…di almeno 40 anni, ed allora, permettetemi, sarà davvero secondaria ogni indignazione sui bavagli, sulla libertà di stampa, sulla democrazia, perchè sarà dimostrato al di là di ogni ragionevole e possibile dubbio come questo paese non sia , assolutamente, in grado di difendere le proprie conquiste di democrazia e civiltà.

Sarà palese quale debba essere la sua posizione nel quadro mondiale…e le ribellioni indignate di quattro pseudo-imtellettualoidi di quella cosa strana ed inesistente che si chiamò Sinistra, saranno riconducibili nell’area liberal…anche se un poco Radical…ininfluenti e di testimonianza. Giusto per controllare come questo mondo sia l’unico possibile…l’unico proponibile , l’unico vero.
Ed è per questo che Marchionne e il signor B. sono momentaneamente alleati su questo tema, perchè sanno cosa passa per questa trattativa, ed è ancora per questo che la FIAT è disposta a mettere in campo ogni sforzo, sino alla contro-marcia per l’occupazione…proprio perchè loro lo sanno che lo scontro non è solo sindacale, ma che dietro si nasconde molto, molto, moltissimo di più. Loro lo sanno quanto questo avvenimento, questo frangente riguardi anche l’immagine di mondo che avremo e che erditeremo dopo questa crisi, la sua impostazione e la necessità d’una modificazione dei rapporti di forza, gli unici che sembrano non accorgersene affatto o quantomeno solo di striscio…di sghimbescio fra mille altre cose, sono gli abitanti ignari di quella che oggi si fatica, ogni giorno di più a definire Area di Progresso.

Fonte: http://www.nuovaresistenza.org/2010/06/20/cosa-stiamo-perdendo-a-pomigliano/




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mercoledì 16 giugno 2010

I No Ponte occupano il cantiere

I No Ponte occupano il cantiere
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foto Enrico Di Giacomo
Centinaia di cittadini ieri pomeriggio hanno partecipato ieri all’iniziativa di informazione e sensibilizzazione indetta dalla Rete No Ponte per contestare l’inizio delle trivellazioni in via Circuito a Faro finalizzate a completare gli studi necessari per il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto.
I sondaggi, che si protrarranno per tutta l’estate e che procureranno non poche difficoltà nella viabilità nella zona di Faro-Ganzirri, sono stati giustificati nei giorni scorsi come opere necessarie a ridurre l’impatto che il Ponte sullo Stretto avrebbe sul nostro territorio. Il movimento No Ponte ha chiarito più volte che non c’è nulla da mitigare, che il Ponte non va realizzato, che i cantieri non debbono avere inizio.
In questa prospettiva sono state ripetutamente elencate le alternative che, invece, andrebbero percorse e per le quali andrebbero investite le risorse pubbliche riservate alla mega-opera. Molto meglio sarebbe pensare alla messa in sicurezza sismica e idrogeologica, al potenziamento del trasporto pubblico nello Stretto, all’ammodernamento della rete stradale e ferroviaria, ad un piano di edilizia scolastica.
Nel corso dell’iniziativa il presidio ha, poi, dato vita all’occupazione pacifica del cantiere (peraltro privo delle necessarie segnalazioni), indicando, attraverso la posa delle bandiere No Ponte, la volontà di impedire la devastazione del territorio e la dilapidazione di risorse pubbliche a vantaggio di poche imprese estranee al tessuto locale.
Dall’assemblea spontanea svoltasi a fianco della trivella è stata lanciata la prossima manifestazione che si svolgerà lunedì 21 giugno a partire dalle ore 14.30 in prossimità dei cantieri.



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Pomigliano. Il documento conclusivo del comitato centrale Fiom Comitato centrale Fiom

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Pomigliano. Il documento conclusivo del comitato centrale Fiom
Comitato centrale Fiom

[15 Giugno 2010]

Pubblichiamo il testo integrale del documento conclusivo della riunione del comitato centrale della Fiom che si è svolta ieri, e che ha deciso di respingere la proposta della Fiat per lo stabilimento di Pomigliano. Il documento è stato approvato all'unanimità. Spiega molto chiaramente le ragioni del no e offre proposte concrete per riaprire la trattativa. Oggi, alla 14, i sindacati sono stati convocati dall'azienda: la Fiom è stata invitata «per conoscenza»

Venerdì 11 giugno il Gruppo Fiat ha confermato, in un incontro al ministero dello Sviluppo economico, la
scelta di cessare l’attività di Termini Imerese, trasferendo in Polonia la produzione della Ypsilon entro il 21
dicembre 2011 e, permanendo l’assenza di reali e concrete soluzioni industriali, ciò significa cancellare oltre
2.200 posti di lavoro e una delle più importanti attività industriali di tutta la Sicilia.

Nella stessa giornata, il Gruppo Fiat ha condizionato l’investimento 700 miliardi di euro per produrre nel
2012 la Panda a Pomigliano all’accettazione di una proposta ultimativa, non negoziabile, che nel delineare
un nuovo sistema di utilizzo degli impianti e di organizzazione del lavoro deroga all’applicazione del Ccnl e
di diverse norme di legge in materia di sicurezza e salute sul lavoro e nel lavoro a turni.
Ci riferiamo, ad esempio, al fatto che le condizioni della Fiat sanciscano che: lo straordinario obbligatorio passa da 40 a 120 ore annue con possibilità per l’azienda di comandarlo come 18° turno, nella mezz’ora di pausa mensa, nei giorni di riposo, per recuperi produttivi anche dovuti a non consegna delle forniture; le pause sui montaggi si riducono da 40 a 30 minuti giornalieri; si può derogare al riposo di almeno 11 ore previste dalla legge da un turno all’altro per il singolo lavoratore; l’azienda può decidere di non pagare il trattamento di malattia contrattualmente previsto a suo carico; l’azienda può modificare le mansioni del lavoratore senza rispettare il principio dell’equivalenza delle mansioni; l’azienda ricorre per 2 anni alla Cigs per ristrutturazione senza rotazione, con l’obbligo del lavoratore alla formazione senza alcuna integrazione al reddito.

Inoltre, la proposta ultimativa della Fiat contiene un sistema sanzionatorio nei confronti delle
organizzazioni sindacali, delle Rsu e delle singole lavoratrici e lavoratori che cancella il diritto alla
contrattazione collettiva fino a violare le norme della nostra Costituzione in materia di diritto di sciopero e
licenziabilità.
Mentre Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno aderito alla posizione della Fiat, la Fiom-Cgil ha dichiarato
inaccettabili tali proposte e richiesto alla Fiat di non considerare concluso il negoziato.
Il Gruppo Fiat ha preso atto delle adesioni, ribadito che la proposta era conclusiva e non negoziabile e nel
caso la non firma della Fiom avesse determinato l’inapplicabilità di tali contenuti si sarebbe riservata di
valutare la conferma o meno dell’investimento a Pomigliano.
La scelta della Fiat segna un passaggio di fase radicale nel sistema delle relazioni industriali affermando il
superamento dell’esistenza del Contratto nazionale e assume pertanto una valenza generale che coinvolge
l’intera categoria.
Se si afferma il principio che per investire in Italia è necessario derogare dai Ccnl e dalle Leggi si apre una
voragine che indica quale uscita dalla crisi la riduzione dei diritti, dei salari e una modifica di fatto della
Costituzione sociale e materiale.
Il Comitato centrale della Fiom, a partire dal Piano industriale della Fiat presentato il 21 aprile 2010,
considera necessario mettere in campo tutte le iniziative utili a realizzare la difesa, l’innovazione e lo
sviluppo delle produzioni automobilistiche in Italia e dell’occupazione. Rivendichiamo la definizione, frutto
di un confronto tra tutte le parti, di un piano di intervento pubblico sul terreno della mobilità sostenibile e
dello sviluppo della tecnologia alternativa, compresa la mobilità elettrica, e di un reale coordinamento tra
le varie istituzioni.
La Fiat, nello stabilimento di Pomigliano, ha dato disdetta degli accordi aziendali in materia di orari di lavoro
e organizzazione della produzione e in sostituzione ha proposto un nuovo accordo i cui contenuti sono
quelli prima richiamati condizionando gli investimenti all’accettazione da parte di tutte le organizzazioni
sindacali.
Pertanto, in assenza di una soluzione aziendale condivisa tra tutte le parti stipulanti, l’unico strumento in
vigore e condiviso in materia di orario e organizzazione del lavoro è il Contratto collettivo nazionale.
L’applicazione del Ccnl permette alla Fiat la definizione di un regime di orario articolato anche su 18 turni,
previo esame congiunto con le Rsu e l’utilizzo di 40 ore pro capite di straordinario comandato.

Ciò permette alla Fiat di avere garantita una produzione annua di oltre 280.000 Panda con una produzione
giornaliera su tre turni di 1.050 vetture che sono gli obiettivi dichiarati dal Gruppo per realizzare gli
investimenti a Pomigliano.
Se la Fiat sceglie di applicare in tal modo il Ccnl e le leggi, la Fiom ne prende atto senza alcuna opposizione,
disponibili ovviamente a una applicazione anche delle parti più rigorose e severe.
Non accedere a questa soluzione renderebbe evidente che per la Fiat l’obiettivo non è né quello della
produzione né quello della flessibilità/compatibilità produttiva, ma come evidenziato dalle dichiarazioni dei
ministri Sacconi e Tremonti l’obiettivo diventerebbe quello di voler affermare il superamento del Ccnl e
aprire la strada al superamento dello Statuto dei diritti dei lavoratori.
Il Comitato centrale della Fiom ribadisce inoltre che deroghe al Ccnl e la messa in discussione di diritti
indisponibili non sono materia a disposizione della contrattazione, sia nei singoli stabilimenti che a livello
nazionale. Tanto meno, possono essere materia di ricatto verso le lavoratrici e i lavoratori che dovrebbero
scegliere tra mantenere un posto di lavoro o rinunciare ai loro diritti individuali, compresi quelli sanciti dalla
Costituzione in materia di sciopero e di contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro, elementi che
uniscono la libertà e la democrazia di un paese.
Per l’insieme di tali impegni il Comitato centrale condivide e sostiene la scelta di considerare non
accettabile il documento conclusivo proposto dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano e di conseguenza
decide che la Fiom non può firmare un testo con contenuti che mettono in discussione diritti individuali,
deroghe al Ccnl e con profili di illegittimità in materia di malattia e diritto allo sciopero.
Il Comitato centrale della Fiom ribadisce la piena disponibilità a garantire l’efficienza e la flessibilità
produttiva dello stabilimento di Pomigliano attraverso un’intesa che garantisca il massimo utilizzo degli
impianti, le flessibilità orarie utili a rispondere alla fluttuazione del mercato, un’organizzazione della
produzione che garantisca qualità e produttività, salvaguardando le condizioni di lavoro. Tutto ciò è
possibile realizzarlo nell’ambito del Ccnl e delle Leggi esistenti e su tali basi si riapra un vero tavolo di
trattativa per giungere a un accordo.

Il Comitato centrale esprime profondo rispetto e massima solidarietà verso le lavoratrici e i lavoratori della
Fiat. La Fiom nazionale concorderà con la Fiom di Napoli le modalità per dare continuità al proprio ruolo di
rappresentanza e tutela degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.
[Approvato all’unanimità]


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lunedì 14 giugno 2010

Lavorare nei call center come gli schiavi nelle miniere di zolfo

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Sicilia 1900: frustate alle gambe dei ragazzi che risalivano lentamente dalla miniera coi sacchi sulle spalle. Toscana 2010: proibito andare in bagno. L'Italia è cambiata?

Lavorare nei call center come gli schiavi nelle miniere di zolfo

di Pietro Ancona

Quest’anno abbiamo avuto la celebrazione più solenne del Primo Maggio, quella con i tre segretari generali, a Rosarno. Il significato di tale scelta era altamente simbolico e serviva per farsi perdonare l’assoluta lontananza, il distacco dei grandi sindacati nazionali da una pratica di schiavitù che durava (dura) da decenni, che era sotto gli occhi di tutti, tutti sapevano ma non c’è mai stata una iniziativa del sindacato dell’agroindustria, del segretario generale della CGIL calabrese di vera solidarietà, di recupero a una condizione di vivibilità di tanti essere umani abbrutiti loro malgrado da un lavoro faticoso e dall’assenza di conforti minimi come pulirsi, avere un cesso decente, lavare una camicia, un paio di calzini…

In Italia non abbiamo soltanto schiavi africani, di colore nero. Abbiamo anche gli schiavi bianchi e i lager sono i call center dove la realtà supera la fantasia. Tutti ricordano il film di Virzì con Sabrina Ferilli nel ruolo di animatrice, ideologa, kapò di tanti infelici indotti alla servitù anche da un condizionamento mentale che è il massimo della alienazione da sé stessi, una riduzione a ingranaggio di un progetto di propaganda e di vendite.

Ma, come abbiamo saputo ieri da Incisa Valdarno, nel mondo reale e non nel cinematografo esistono situazioni come quelle descritte da Virzi. Qui si è giunti a dare colpi o colpettini di frustino alle ragazze che non rendevano quanto voluto dai loschi e criminali gestori del call center. Si negava loro anche la possibilità di recarsi in bagno.

I colpi di frustino ai disgraziati dei call center mi hanno ricordato le “punciute” (pungiture) ai polpacci che venivano inflitte ai carusi siciliani delle zolfare quando, nella durissima risalita dalle viscere della terra si stancavano e si fermavano ansimanti per qualche istante. Che cosa c’è di cambiato? C’è di cambiato che non siamo alla fine dell’Ottocento e nel profondo della condizione meridionale descritta da Franchetti e Sonnino e raccontata magistralmente da Adolfo Rossi nel suo bellissimo e commovente libro “L’agitazione in Sicilia”: le vittime non sono zolfatari figli di zolfatari venduti dalle loro famiglie per qualche sacco di fave e di cattivo frumento. Siamo nel cuore della Toscana moderna e le vittime sono ragazzi spesso laureati, ma subito delusi dalla vita e costretti al ripiego umiliante di diventare telefonisti per la vendita di un prodotto o di un servizio sempre meno richiesti da una popolazione impoverita.

Della vicenda che i giornali raccontano in questi giorni mostrando raccapriccio c’è da dire alcune cose.

Primo: l’indagine della guardia di finanza stimolata dall’associazione dei consumatori è stata fatta per la truffa della vendita per tremilacinquecento euro di un modesto elettrodomestico che ne valeva meno di trecento. Quindi, la scoperta del lager dei venditori non è stata che una conseguenza indiretta della indagine. Forse, se non ci fosse stata la truffa, non ne avremmo mai saputo niente come niente si sa di quanto succede in tutti i call center d’Italia.

Secondo: l’assenza di sindacati. Come nel caso di Rosarno anche qui il sindacato è assente. Lo so bene quando sia difficile sindacalizzare persone terrorizzate dal timore di non avere o perdere il posto. Ma, credo, a Incisa Valdarno tutti sapevano che cosa succedeva nel call center. Anche alla Camera del Lavoro. La Cgil avrebbe dovuto assumere una iniziativa. Segnalare all’ispettorato del lavoro o alla procura della Repubblica quello che succedeva.

L’indagine della guardia di finanza è durata tre anni. Mi domando perché ci sia voluto tanto tempo per assumere coscienza della realtà del call center e dei suoi infelici abitanti. Perché non sono stati verificati subito i maltrattamenti?

Probabilmente il prossimo Primo Maggio sarà celebrato ad Incisa Valdarno da Cgil, Cisl, Uil, unite da un patto di degrado del lavoro che presto chiuderà la partita dello Statuto dei diritti dei lavoratori (il più bel pezzo di selvaggina che Sacconi e la Marcegaglia vorranno mettere nel loro carniere). La celebrazione avrà accenti di commozione e i nostri tre eroi, assai compunti, denunceranno la condizione dei lavoratori dei call center.

Naturalmente non chiameranno in causa la legge Biagi. Non ne chiederanno l’abrogazione e non proporranno l’introduzione di un Salario Minimo Garantito per mettere un argine alla violenza padronale. Si limiteranno a una sorta di commemorazione di quelli che furono i diritti che non potranno essere ripristinati.

http://domani.arcoiris.tv/?p=6493



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domenica 13 giugno 2010

LA CRISI VA PAGATA DA CHI L’HA PROVOCATA. GIU’ LE MANI DAL PUBBLICO IMPIEGO

LA CRISI VA PAGATA DA CHI L’HA PROVOCATA. GIU’ LE MANI DAL PUBBLICO IMPIEGO – PAGHI CHI NON HA MAI PAGATO

Nazionale, 10/06/2010
14 giugno SCIOPERO del Pubblico Impiego
Dagli inizi degli anni ’90 si è abbattuta sui lavoratori in genere e sul Pubblico Impiego in particolare la scure dei governi in preda ai sacri fuochi dei sacrifici e del risparmio ispirati dalle istituzioni politiche, finanziarie e padronali europee.
“I sacrifici di oggi serviranno per costruire l’Unione politica e monetaria europea che ricompenserà tutto ciò con la piena occupazione, maggiori retribuzioni e miglioramento del welfare e sicurezza sociale”. Queste le promesse con cui anche, e soprattutto, cgil, cisl, uil e sindacati autonomi hanno sostenuto il confronto con i lavoratori per fargli accettare, senza troppi scossoni e soprattutto senza disturbare il manovratore, la lunga stagione di sacrifici che si prospettava; da allora questi sindacati cominciarono a definirsi “concertativi” in quanto eseguivano il concerto secondo le indicazioni del direttore d’orchestra, che di volta in volta era il governo, la confindustria o i poteri forti europei, tutti gli altri (il sindacalismo di base) erano solo voci stonate fuori dal coro da isolare.
“Qualche sacrificio oggi val bene la piena occupazione o la garanzia della pensione per le future generazioni”, si sostenne allora.
La disoccupazione in aumento e la “nuova” occupazione figlia delle leggi Treu e 30 sono la dimostrazione evidente della precarizzazione delle generazioni future e della negazione di qualsiasi garanzia nel presente e tanto meno nel futuro privo ormai di qualsiasi copertura previdenziale.
...leggi tutto nel documento allegato



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mercoledì 9 giugno 2010

Attacco di Brunetta-Calderoli contro la sicurezza sul lavoro ...

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L’ultimo attacco al mondo del lavoro colpisce uno dei fronti più delicati: la sicurezza. In nome della «semplificazione» l’articolo sette del ddl Brunetta-Calderoli, votato a Montecitorio, interviene sull’obbligo di denunciare gli infortuni alla magistratura. Ad oggi le imprese sono costrette dalla legge a segnalare all’autorità di pubblica sicurezza gli incidenti che costringono il lavoratore a letto o in ospedale per più di tre giorni. la denuncia Con la nuova norma i datori di lavoro sono esentati dall’onere della denuncia se l’infortunio tiene il dipendente a casa per meno di 15 giorni. In questo caso, ad essere informato sarà solo l’Inail, che poi dovrà comunicare il fatto alla Direzione provinciale del lavoro. Inizialmente il testo prevedeva l’obbligo di avvertire i magistrati solo per gli incidenti che rendevano inabile il dipendente almeno per trenta giorni.

Poi in commissione si è scesi a 15. Un risultato che non lascia soddisfatto né il partito Democratico - che ha espresso voto contrario - né la Cgil. Sia il Pd sia il sindacato di Corso Italia licenziano l’articolo sette del ddl Brunetta-Calderoli come l’ultimo affondo contro i diritti dei lavoratori su infortuni e malattie. La polemica è divampata anche fuori dalla Commissione, con il ministro Calderoli che ha attaccato opposizione e rappresentanti dei lavoratori. «Non sanno di che parlano - ha detto - così si riducono inutili oneri burocratici per le imprese».

La risposta a stretto giro è arrivata dall’ex ministro Cesare Damiano. «Non basta ridurre da trenta a 15 i giorni di inabilità del dipendente per i quali l’impresa è costretta a presentare la denuncia. Resta comunque una norma che peggiora le condizioni e la tutela della salute dei lavoratori». attacco alla sicurezza Il perché di tanta opposizione è giustificato in primo luogo dal fatto che si toglie alla magistratura la possibilità di indagare sugli infortuni e sulle condizioni degli ambienti di lavoro che li determinano. Viene meno cioè uno strumento fondamentale per la tutela della sicurezza, già appesantita dai tagli della manovra e dalle scarse risorse destinate ai controlli degli ispettori.

«Con la scusa di semplificare - ha detto per la Cgil Sebastiano Calleri, del coordinamento nazionale Salute e sicurezza - impoveriscono l’attenzione e la vigilanza sui luoghi di lavoro». Un processo lento ma continuo: solo l’anno scorso in tema di sicurezza il governo ha cambiato 136 articoli sui 306 del Testo Unico del governo Prodi. Ieri, riprende Damiano, «la commissione ha votato anche l’articolo 7 ter, che abroga il registro degli infortuni delle imprese e non lo sostituisce con nulla. È gravissimo - continua l’esponente Pd - Noi avevamo deciso di eliminare il registro in favore di una banca dati informatica. Loro lo cancellano». Alle tante modifiche in tema di lavoro il governo ne ha aggiunta un’altra con la manovra Finanziaria: poche parole nascoste nell’articolo otto per eliminare l’obbligo della valutazione dei rischi nella pubblica amministrazione. Dalle scuole ai ministeri, fino agli ospedali.

E chissà che l’esenzione non arrivi anche nel privato, si domanda ironico ma preoccupato qualche sindacalista. Per avere un’idea dell’importanza di temi come sicurezza e prevenzione basta leggere le cronache locali di tutti i giorni. Solo ieri si sono registrati due incidenti mortali sul lavoro, più il decesso di un terzo operaio rimasto ferito giovedì in una cava. Le ultime due vittime sono entrambe sarde. Si tratta di un operaio dell’Anas e di un agricoltore. Il primo travolto su una statale dal mezzo guidato da un collega, il secondo finito sotto un camion.

di Giuseppe Vespo

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martedì 8 giugno 2010

Operai Rockwool in presidio davanti alla Regione ...

Cagliari. Operai Rockwool in presidio davanti alla Regione
Un gruppo di operai della Rockwool di Iglesias [Ca] sta presidiando la Regione Sardegna da stamattina per chiedere un incontro con l’assessore regionale dell’Industria, Sandro Angioni, vista l’imminente scadenza della cassa integrazione in deroga fissata per il 26 giugno prossimo.
Gli operai della fabbrica di lana di roccia, chiusa da oltre un anno, continuano intanto a protestare nel presidio davanti alla sede dell’Igea sul ponte di Campo Pisano chiedendo alle istituzioni di poter essere ricollocati all’interno dell’Ente Minerario Sardo.



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Per Andrea Gagliardoni e per tutte le vittime sul lavoro ...

- di Samanta Di Persio -

Quando accadono tragedie come quella Thyssenkrupp o dell’Umbria Olii, per qualche giorno i riflettori dei media italiani si accendono e qualche rappresentante politico dichiara che la realtà deve cambiare, che non si può continuare a piangere vittime innocenti, affiancato, spesso e volentieri, dai moniti del Presidente Napolitano. Ma poi, puntualmente, si spegne tutto, cala il silenzio, rimangono solo le lacrime, il crudo dolore dei familiari, dei lavoratori e delle lavoratrici vittime degli incidenti.

Il parossismo del nostro Paese è arrivato al punto tale che una famiglia, nello specifico la famiglia Gagliardoni, dopo 4 anni dalla morte di Andrea, operaio ventitrenne dell’Asoplast di Ortezzano, schiacciato da una macchina tampografica non a norma, abbia difficoltà nel trovare una degna sepoltura per il giovane. Al tempo della tragedia la mamma Graziella sotto choc aveva accettato il loculo in prestito da parte di una carissima amica di famiglia. Dopo 4 anni in seguito alla richiesta della signora di riavere il loculo, Graziella va dal sindaco, ma questi gli dice che non è possibile traslare Andrea finchè la signora non muore. Inizia una via crucis al comune, senza nessuna risposta.

Il sindaco resterà irremovibile persino di fronte agli avvocati della trasmissione di Mi manda rai 3 che gli dicono che non esistono regolamenti che avvalorano la sua tesi.

Saremo il 19 Giugno a Porto Sant’Elpidio alle 11:30 accanto a Graziella e la famiglia Gagliardoni per mantenere vivo il ricordo di Andrea e di tutte le vittime sul lavoro.

L’ anno 2009 si è chiuso con 874.940 infortuni sul lavoro e 1.120 casi mortali.

Cifre terrificanti, degne di una guerra.

Bisogna potenziare i controlli nei luoghi di lavoro, fare in modo che vengano eseguiti seriamente e completamente, bisogna che i responsabili degli infortuni e delle morti siano puniti con pene esemplari, che tutti i lavoratori siano formati sulle norme di sicurezza e che gli RLS e tutti i lavoratori che denunciano condizioni di insicurezza non vengano penalizzati (v. i casi di Dante De Angelis e Salvatore Palumbo, entrambi licenziati, quest’ultimo ancora non riassunto e con tre bambini a carico).

Chiediamo al sindaco e alle autorità competenti di destinare finalmente un loculo ad Andrea, in modo che possa avere una degna sepoltura.

Chiediamo a tutti i cittadini e a tutte le organizzazioni di partecipare al presidio perchè tale evento è anche l’occasione per chiedere ancora una volta con forza che venga realizzata nei fatti una politica della sicurezza sul lavoro affinchè nessun lavoratore rischi la vita.

Associazioni e cittadini aderiscono
Informare per resistere, Cgil Fermo, Italia dei Valori di Senigallia, Rifondazione Comunista di Fermo, Agende Rosse, Meet up Macerata, Legambiente Fermo Valdasso, Unione Sindacale Italiana Usi Ait, associazione Ruggero Toffolutti

Helene Benedetti, Samanta Di Persio, Alessandra Arezzo, Andrea Bagaglio, Leopoldo Pileggi, Marco Bazzoni, Maurizio Aloisi, Christina Pacella, Patrizia Angelozzi, Lorena Coletti, Eileen Forsythe, Stefano Seproni

Porto Sant’Elpidio (Marche) 19 giugno ore 11.30 piazzale della stazione



http://www.articolo21.org/1271/notizia/per-andrea-gagliardoni-e-per-tutte-le-vittime-sul.html



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Pensioni, “Anche le donne a 65 anni”

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Pensioni, ultimatum dell’Ue:
“Anche le donne a 65 anni”

statali L’Italia rischia una multa: “Nella pubblica amministrazione non
è legale la pensione
a 65 anni per gli uomini
e a 60 per le donne”.


ROMA - Ultimatum della Commissione europea all’Italia: se non equiparerà subito nel settore pubblico l’età pensionabile di uomini e donne - portandola anche per queste ultime a 65 anni - sarà di nuovo deferita alla Corte di giustizia europea. La richiesta è in una nuova lettera di Bruxelles: chiede di adeguarsi al più presto alla sentenza emessa nel 2009 dalla Corte. Mentre la prima lettera di messa in mora della Commissione all’Italia risale addirittura al 2005.
Due mesi di tempo
L’Italia ha ora due mesi per rispondere. Se non lo farà, o lo farà in modo inadeguato, la Commissione potrà passare alla fase successiva della procedura d’infrazione (il parere motivato) ed eventualmente arrivare a un nuovo ricorso in Corte di giustizia: con la richiesta di forti sanzioni economiche da pagare per ogni giorno di inadempienza.
“Differenza illegale”
In realtà all’epoca della prima infrazione l’Italia aveva modificato la normativa, introducendo un periodo di “transizione” di 8 anni in cui l’età pensionabile delle donne sarebbe stata innalzata gradualmente. “La differenza non è legale ed è discrinatoria. Nessun periodo di transizione deve essere permesso”, contesta però il portavoce della vicepresidente della commissione Ue, Viviane Reding.
Lunedì Sacconi tratta
Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi (Pdl) lunedì incontrerà la commissaria, per trattare sulla richiesta ed evitare che possa trasformarsi in una multa. Spiega il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta(Pdl): “Se ce lo chiede l’Ue, vedremo come e quali sono i margini di flessibilità”, anche attraverso “il veicolo della manovra”.


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