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lunedì 14 giugno 2010

Lavorare nei call center come gli schiavi nelle miniere di zolfo

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Sicilia 1900: frustate alle gambe dei ragazzi che risalivano lentamente dalla miniera coi sacchi sulle spalle. Toscana 2010: proibito andare in bagno. L'Italia è cambiata?

Lavorare nei call center come gli schiavi nelle miniere di zolfo

di Pietro Ancona

Quest’anno abbiamo avuto la celebrazione più solenne del Primo Maggio, quella con i tre segretari generali, a Rosarno. Il significato di tale scelta era altamente simbolico e serviva per farsi perdonare l’assoluta lontananza, il distacco dei grandi sindacati nazionali da una pratica di schiavitù che durava (dura) da decenni, che era sotto gli occhi di tutti, tutti sapevano ma non c’è mai stata una iniziativa del sindacato dell’agroindustria, del segretario generale della CGIL calabrese di vera solidarietà, di recupero a una condizione di vivibilità di tanti essere umani abbrutiti loro malgrado da un lavoro faticoso e dall’assenza di conforti minimi come pulirsi, avere un cesso decente, lavare una camicia, un paio di calzini…

In Italia non abbiamo soltanto schiavi africani, di colore nero. Abbiamo anche gli schiavi bianchi e i lager sono i call center dove la realtà supera la fantasia. Tutti ricordano il film di Virzì con Sabrina Ferilli nel ruolo di animatrice, ideologa, kapò di tanti infelici indotti alla servitù anche da un condizionamento mentale che è il massimo della alienazione da sé stessi, una riduzione a ingranaggio di un progetto di propaganda e di vendite.

Ma, come abbiamo saputo ieri da Incisa Valdarno, nel mondo reale e non nel cinematografo esistono situazioni come quelle descritte da Virzi. Qui si è giunti a dare colpi o colpettini di frustino alle ragazze che non rendevano quanto voluto dai loschi e criminali gestori del call center. Si negava loro anche la possibilità di recarsi in bagno.

I colpi di frustino ai disgraziati dei call center mi hanno ricordato le “punciute” (pungiture) ai polpacci che venivano inflitte ai carusi siciliani delle zolfare quando, nella durissima risalita dalle viscere della terra si stancavano e si fermavano ansimanti per qualche istante. Che cosa c’è di cambiato? C’è di cambiato che non siamo alla fine dell’Ottocento e nel profondo della condizione meridionale descritta da Franchetti e Sonnino e raccontata magistralmente da Adolfo Rossi nel suo bellissimo e commovente libro “L’agitazione in Sicilia”: le vittime non sono zolfatari figli di zolfatari venduti dalle loro famiglie per qualche sacco di fave e di cattivo frumento. Siamo nel cuore della Toscana moderna e le vittime sono ragazzi spesso laureati, ma subito delusi dalla vita e costretti al ripiego umiliante di diventare telefonisti per la vendita di un prodotto o di un servizio sempre meno richiesti da una popolazione impoverita.

Della vicenda che i giornali raccontano in questi giorni mostrando raccapriccio c’è da dire alcune cose.

Primo: l’indagine della guardia di finanza stimolata dall’associazione dei consumatori è stata fatta per la truffa della vendita per tremilacinquecento euro di un modesto elettrodomestico che ne valeva meno di trecento. Quindi, la scoperta del lager dei venditori non è stata che una conseguenza indiretta della indagine. Forse, se non ci fosse stata la truffa, non ne avremmo mai saputo niente come niente si sa di quanto succede in tutti i call center d’Italia.

Secondo: l’assenza di sindacati. Come nel caso di Rosarno anche qui il sindacato è assente. Lo so bene quando sia difficile sindacalizzare persone terrorizzate dal timore di non avere o perdere il posto. Ma, credo, a Incisa Valdarno tutti sapevano che cosa succedeva nel call center. Anche alla Camera del Lavoro. La Cgil avrebbe dovuto assumere una iniziativa. Segnalare all’ispettorato del lavoro o alla procura della Repubblica quello che succedeva.

L’indagine della guardia di finanza è durata tre anni. Mi domando perché ci sia voluto tanto tempo per assumere coscienza della realtà del call center e dei suoi infelici abitanti. Perché non sono stati verificati subito i maltrattamenti?

Probabilmente il prossimo Primo Maggio sarà celebrato ad Incisa Valdarno da Cgil, Cisl, Uil, unite da un patto di degrado del lavoro che presto chiuderà la partita dello Statuto dei diritti dei lavoratori (il più bel pezzo di selvaggina che Sacconi e la Marcegaglia vorranno mettere nel loro carniere). La celebrazione avrà accenti di commozione e i nostri tre eroi, assai compunti, denunceranno la condizione dei lavoratori dei call center.

Naturalmente non chiameranno in causa la legge Biagi. Non ne chiederanno l’abrogazione e non proporranno l’introduzione di un Salario Minimo Garantito per mettere un argine alla violenza padronale. Si limiteranno a una sorta di commemorazione di quelli che furono i diritti che non potranno essere ripristinati.

http://domani.arcoiris.tv/?p=6493



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