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sabato 3 luglio 2010

Manovra, Cgil: «Il 'refuso' lo pagheranno i lavoratori»

Manovra, Cgil: «Il 'refuso' lo pagheranno i lavoratori»

«Nessun limite all’incremento dell’età pensionabile; la cancellazione di fatto delle pensioni sociali; lavorare di più, per più tempo e per prendere alla fine meno». Sono questi, secondo la Cgil, alcuni dei «peggioramenti» previsti dal nuovo testo dell’emendamento alla manovra economica. In una nota il sindacato elenca i punti, relativi agli effetti sul sistema pensionistico, critici dell’emendamento a firma del relatore Antonio Azzollini. «Il cosiddetto ‘refuso’ – si legge nella nota – sfuggito ad altissimi dirigenti del Ministero dell’Economia, del Gabinetto del Ministro del Lavoro e alla Presidenza dell’Inps, sull’anzianità contributiva, ovvero 40 anni più uno, viene pagato dai lavoratori e soprattutto dalle lavoratrici pubbliche e private attraverso l’anticipazione al 2015 della revisione triennale dell’età pensionabile e dei requisiti di anzianità contributiva, pari a più tre mesi, alla quale segue quella già prevista per il 2016, pari a tre o quattro mesi in più». La Cgil spiega inoltre che «si fa riferimento ad un decreto ‘direttoriale’ dei ministri dell’Economia e del Lavoro per l’adeguamento obbligatorio dell’età pensionabile e degli altri requisiti, mentre la legge 102/2009 prevedeva un Dpr, esaminato dalle Commissioni parlamentari e sottoposto agli organi di controllo. Si tratta perciò di due atti radicalmente diversi: quello che il governo prevede sfugge però a qualsiasi discussione e controllo parlamentare». Inoltre il sindacato di Corso d’Italia punta il dito contro il fatto che «rimane la mancanza di qualsiasi limite all’incremento dell’età pensionabile che in tal modo cresce indiscriminatamente mentre si vanno progressivamente abolendo le pensioni sociali in relazione all’aumento dell’età e alla mancanza di limiti. Così come rimane confermato il taglio ai finanziamenti dal 2011 dei patronati di tutte le parti sociali, sindacali e datoriali». Infine, prosegue il sindacato nella nota, «per le lavoratrici del pubblico impiego, agli effetti perversi dell’aumento dell’età pensionabile da 61 a 65 anni, va sommata la finestra di 12 mesi contenuta nella manovra e l’adeguamento dell’età di 3 mesi dal 2015 e di tre o quattro mesi dal 2016. Pertanto una lavoratrice che nel 2010 ha 59 o 60 anni di età si vede precipitata a 67 anni nel 2018 e, allo stesso tempo, con la pensione calcolata sul coefficiente corrispondente a 65 anni. Coefficiente inoltre che nel frattempo sarà stato rivisto al ribasso per ben due volte, nel 2013 e nel 2016, così come è già avvenuto nel 2010, con un calo dell’8,5 per cento ai 65 anni».


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