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lunedì 4 ottobre 2010

A LECCE CHIUDE LA MANIFATTURA TABACCHI



L’ULTIMA SIGARETTA - A LECCE CHIUDE LA MANIFATTURA TABACCHI:

 500 famiglie del Salento sul lastrico - strano Perché il fumo rende e rende tantissimo. Nel 2009 139 milioni di utili su 618 milioni di fatturato. Una redditività da record: 22 euro di profitti ogni 100 di ricavi - Uscito di scena Baldassarre, inciampato in un paio di inchieste giudiziarie tra cui quella per aggiotaggio sulla privatizzazione Alitalia, il board dell’azienda inglese può contare su Aurelio Regina, il rampantissimo presidente degli Industriali romani....


Vittorio Malagutti per "Il Fatto Quotidiano"
BAT Il fumo, si sa, nuoce gravemente alla salute. Di questi tempi però 500 famiglie del Salento hanno disperatamente bisogno di sigarette. Ne va del loro futuro, della loro vita. Da quando, un paio di settimane fa, la British American Tobacco, filiale dell'omonima multinazionale del tabacco, ha annunciato la chiusura del suo stabilimento di Lecce, il destino dei dipendenti è appeso a un filo.
Quello di un progetto di riconversione industriale che la stessa Bat si è impegnata a sostenere. Solo parole. Promesse. Ma intanto "Lecce chiude", confermano i portavoce della società inglese, un colosso attivo in tutto il mondo con ricavi globali per oltre 16 miliardi di euro. I giochi sono fatti. La sentenza scritta. L'impianto si ferma forse già entro fine anno.
GAETANO QUAGLIARIELLO Protestano i sindacati. L'arcivescovo Domenico D'Ambrosio chiede all'azienda di ripensarci. Scende in piazza anche il sindaco di centrodestra Paolo Perrone, alla guida di un'amministrazione, quella di Lecce, sull'orlo della bancarotta. Niente. Lo stabilimento salentino costa troppo. E allora bisogna "rivedere l'assetto produttivo del gruppo", spiegano i documenti aziendali.
Certo fa impressione confrontare queste dichiarazioni con i dati di bilancio della Bat Italia. Perché il fumo rende e rende tantissimo. Nel 2009 la filiale nostrana della British American Tobacco ha realizzato la bellezza di 139 milioni di utili su 618 milioni di fatturato. Una redditività da record: 22 euro di profitti ogni 100 di ricavi. Sono i risultati migliori da molti anni a questa parte. Risultati che hanno garantito 120 milioni di dividendi alla casa madre di Londra.
Aurelio Regina IL SALOTTO BUONO TABAGISTA - Eppure a Lecce si chiude. Lo ha deciso il consiglio di amministrazione presieduto da Francesco Valli, un manager lobbista con la passione della politica. Valli tra l'altro presiede la Fondazione Magna Charta, il gruppo di ultras conservatori, nonché liberali e liberisti, fondato dal senatore pidiellino Gaetano Quagliariello. Una sorpresa? Mica tanto. La Bat italiana è da sempre molto attenta agli equilibri romani.
Fino a marzo tra gli amministratori si dava da fare anche l'ex presidente della Corte costituzionale,il berlusconiano Antonio Baldasarre, di recente inciampato in un paio di inchieste giudiziarie tra cui quella per aggiotaggio sulla privatizzazione Alitalia. Uscito di scena Baldassarre, il board dell'azienda inglese può comunque contare sulla collaborazione di Pierluigi Celli, l'ex direttore generale della Rai ora a capo dell'università confindustriale Luiss, e di Aurelio Regina, il rampantissimo presidente degli Industriali romani.
QUESTIONE DI PREZZO (POLITICO) - Nomi noti, personaggi influenti e soprattutto trasversali, ben piazzati a destra come nel centrosinistra. Gente così non serve soltanto a dare lustro al consiglio. Il fatto è che il business del tabacco non ha esattamente un'immagine smagliante, bersagliato com'è dalle campagne salutiste dei governi. Senza contare che il prezzo delle sigarette, per il 75 per cento assorbito dalle tasse, viene regolato dallo Stato. Ecco perché un aiutino a Roma fa sempre comodo.
ANTONIO BALDASSARE Certo, c'è il contesto globale da considerare. I fumatori aumentano solo nei paesi in via di sviluppo. E allora è lì che si concentrano gli investimenti. Nel 2000 Bat controllava 83 stabilimenti nel mondo. Adesso sono 50 e dal 2008 hanno chiuso i battenti impianti in Danimarca, Lettonia e Turchia. Il mercato si restringe anche in Italia. L'anno scorso il consumo di sigarette è calato del 3 per cento. E i marchi del gruppo inglese hanno perso proporzionalmente ancora di più: meno 6,2 per cento.
E allora per continuare a guadagnare, anzi, per guadagnare di più, bisogna tagliare, ripensare la logistica, gestire il business di ogni Paese in un'ottica sempre più globale. Risultato: Lecce non serve più. In futuro nel nostro Paese verranno vendute soltanto sigarette prodotte altrove, di preferenza nell'Europa orientale. E così l'ultima fabbrica italiana della Bat, quella da cui escono i pacchetti con il marchio Ms, si avvia alla rottamazione. Strano. Perché solo l'anno scorso il gruppo britannico ha investito oltre 10 milioni di euro per rinnovare i macchinari dello stabilimento salentino.
Luca di Montezemolo LA STRANA STRATEGIA DEI TAGLI - Investire per poi tagliare? Una strategia a dir poco singolare. Ed è recentissimo anche l'ultimo accordo con i sindacati per gestire 75 tagli a livello nazionale: porta la data del 14 luglio 2009, con tanto di piano industriale valido dal 2009 al 2011 dove si confermava la centralità della fabbrica pugliese.
Giancarlo Elia Valori Adesso però la Bat ha scoperto che Lecce non serve più. Londra dispone. Roma esegue. E' questo l'epilogo paradossale, (peggio, tragico) di una storica privatizzazione, quella dell'Ente tabacchi italiani (Eti), l'ex Monopolio di Stato per i tabacchi. Nel dicembre 2003 l'operazione fu annunciata tra squilli di tromba e rulli di tamburi dal governo Berlusconi in carica a quel tempo. Un carrozzone di Stato vecchio e malandato passava alla Bat per il prezzo record di 2,35 miliardi di euro.
Per gli inglesi ne valeva la pena. L'acquisizione serviva a spiazzare storici concorrenti della Philip Morris, saldamente insediati nella Penisola grazie a un contratto di produzione con l'Eti. Ebbene, una volta messe le mani sugli ex monopoli italiani, il gruppo britannico non ha fatto altro che vendere, tagliare, chiudere. Il sigaro toscano è andato alla famiglia bolognese Maccaferri, in cordata con Luca di Montezemolo e Aurelio Regina, lo stesso che siede nel consiglio della Bat italiana.
Francesco Valli Una holding presieduta dal potente Giancarlo Elia Valori si è invece comprata lo stabilimento di Chiaravalle, nelle Marche. Nel 2008 si è fermato per sempre l'impianto di Rovereto, in Trentino. Quello di Bologna (sette capannoni, 100 mila metri quadrati), dopo lo stop alla produzione è stato ceduto alla regione Emilia Romagna che progetta di costruire un polo tecnologico e di ricerca. Nel giro di quattro anni i dipendenti del gruppo si sono quasi dimezzati. Erano quasi 1.300 nel 2006, adesso sono circa 700. Puntiamo tutto su Lecce, garantiva Valli. E invece no. Chiusura in vista. Così in Italia della grande privatizzazione del 2003 non resteranno più neppure le briciole.

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