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mercoledì 29 agosto 2012

Carbosulcis, autolesionismo per il lavoro



Carbosulcis, cresce la tensione in fondo ai pozzi
Un minatore si taglia il polso davanti ai cronisti


Cresce l'esasperazione dei minatori della Carbosulcis, giunti al quarto giorno di occupazione dei pozzi di Nuraxi Figus, a quasi 400 metri di profondità Durante la conferenza stampa, convocata davanti alla 'riservetta' in cui è custodito l'esplosivo, uno dei leader della protesta si è tagliato un polso: "E' a questo punto che dobbiamo arrivare".
"Siamo disperati", hanno detto gli operai e uno dei leader della protesta, Stefano Meletti, della Rsu Uil, particolarmente agitato, si è tagliato un polso gridando: "è questo che dobbiamo fare, ci dobbiamo tagliare?".
Quello di Meletti è stato un gesto fulmineo che ha colto tutti di sorpresa, giornalisti e minatori stessi. Il sindacalista della Rsu è stato subito bloccato dai colleghi che erano attorno a lui: le sue condizioni sono buone, solo ferite superficiali. Ma sono i suoi nervi ad aver ceduto. Di esasperazione ha parlato anche Giancarlo Sau, della Rsu Cgil, spiegando alla stampa il perché della convocazione di cronisti, fotografi e cineoperatori giù nelle viscere della terra. "Siamo pronti a tutto - ha detto indicando col dito la stanza blindata dove sono stivati oltre 690 chili di esplosivo e 1.221 detonatori - E' il momento de 'sa bruvurà (polvere da sparo esplosivo in sardo, ndr)", ha aggiunto senza precisare altro. L'azione di Meletti ha poi fatto precipitare la situazione: dopo comprensibili momenti di caos e tensione, i giornalisti sono stati fatti allontanare e invitati a risalire in ascensore lungo il pozzo per tornare alla luce del sole. I minatori, invece, restano lì a -373 metri.


http://www.unionesarda.it/Articoli/Articolo/286411

Carbonsulcis, le ragioni dei minatori 

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Parla Stefano Meletti dal presidio all'interno della miniera

 (ASCA) - Cagliari, 29 ago - Il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato all'unanimita' un ordine del giorno sulla vertenza Carbosulcis. Lo comunica, in una nota, la Regione Sardegna.

La seduta, aperta sotto la presidenza della presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo, e' stata rapidissima.

L'ordine del giorno approvato impegna la Giunta regionale a sollecitare il Governo nazionale al rispetto delle decisioni del Parlamento dando immediata attuazione alla legge 99/2009, a sostenere attivamente la vertenza e la lotta dei lavoratori della Carbosulcis e a riferire costantemente al Consiglio regionale gli sviluppi della vertenza.

L'odg di oggi, firmato da tutti i capigruppo, e' stato presentato in seguito al dibattito che si e' tenuto ieri in Aula sulla vertenza Alcoa.

Negli interventi di numerosi consiglieri si auspicava di ''allargare la discussione alla situazione complessiva di crisi che interessa il territorio del Sulcis iglesiente e in particolare alla miniera di Nuraxi Figus''.

leggi anche http://cipiri5.blogspot.it/2012/09/sardegna-ultima-spiaggia-il-lavoro.html

Sardegna ultima spiaggia il lavoro




La Sardegna e i Sardi, una Terra e un Popolo troppo fieri per lasciarsi passare addosso il problema della mancanza di lavoro.
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venerdì 17 agosto 2012

Sud Africa : Uccisi minatori in sciopero



MARIKANA, Sud Africa (Reuters) - L'uccisione da parte della polizia ieri di più di 30 minatori in sciopero nella più sanguinosa operazione per la sicurezza dalla fine del dominio dei bianchi ha traumatizzato il Sud Africa e ha sollevato domande da parte dei media e della gente sulla sua anima post-apartheid.

 Quotidiani titolano "Bagno di sangue", "Campo di battaglia" e "Massacro in miniera", con foto di poliziotti bianchi e neri che camminano tra i cadaveri di neri insanguinati nella polvere. Le immagini riportano immediatamente alla memoria il passato razzista del Sud Africa.

 Dopo oltre 12 ore di silenzio da parte delle autorità, il capo della polizia Nathi Mthethwa ha confermato che almeno 30 uomini sono morti nel tentativo degli agenti di sgomberare 3.000 scioperanti armati di macete e bastoni da un'area della miniera, che si trova a 100 km a nordovest di Johannesburg. "Molta gente è rimasta ferita e il numero potrebbe aumentare", ha detto oggi in un'intervista ad una radio locale. Un ascoltatore ha collegato l'incidente, alla miniera di platino di Lonmin a Marikana, al massacro di Sharpeville del 1960, quando gli agenti dell'apartheid aprirono il fuoco su una folla di manifestanti neri, uccidendone oltre 50.

 In un editoriale in prima pagina, il quotidiano Sowetan chiede se qualcosa sia cambiato dal 1994, quando Nelson Mandela rovesciò tre secoli di dominio bianco per diventare il primo presidente nero della più grande economia del continente africano. La miniera è stata costretta a chiudere questa settimana per una disputa fra sindacati che ha colpito il settore del platino quest'anno, sfociando in violenza. Benché i minatori in sciopero chiedano un cospicuo aumento della loro paga, la radice del problema sta in una sfida lanciata dalla nuova Associazione di minatori e costruttori (Amcu) al dominio ventennale del Sindacato nazionale minatori (Num), stretto alleato del partito Anc al governo.

 Prima di ieri, altre 10 persone - compresi due poliziotti - sono morte in circa una settimana di scontri tra le due sigle sindacali. Dall'alba di oggi, centinaia di poliziotti pattugliano la zona intorno alla miniera di Marikana. "Non ci sono stati problemi nella notte. Il problema è la collina qui sopra dove è avvenuta la sparatoria. Non sono sicura di quello che succederà oggi", ha detto una abitante della zona. La società, che ha sede a Londra, è stata costretta a chiudere tutte le operazioni in Sud Africa, che rappresenta circa il 12% della produzione globale di platino. Ieri il prezzo del platino è sceso di circa il 3% per risalire oggi ai massimi da cinque settimane a 1.450 dollari l'oncia. Le azioni di Lonmin, terzo produttore mondiale di platino, a Londra e Johannesburg sono scese nel primo mattino di oltre il 5% ai minimi degli ultimi quattro anni, portando le loro perdite da quando le violenze sono iniziate una settimana fa a circa il 20%. -

 Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia -

http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE87G01A20120817?sp=true


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mercoledì 8 agosto 2012

I mercati chiedono lavoro non tagli





Attenti, «la perfidia dei tecnocrati europei sembra non avere fondo». Nei corridoi di Bruxelles trapela infatti la seconda parte del piano Draghi-Merkel. «Vi pareva che si accontentassero di intrappolarci nell’Eurozona per altri 5 o 10 anni senza, fin da subito, spremere sangue concreto?». Paolo Barnard, il primo a denunciare il “golpe” finanziario contro la sovranità economica italiana, suona l’allarme: «Prima di attivare il programma “Smp Bond Purchases” della Bce, quello che può calmare i mercati abbassando i tassi sui nostri titoli di Stato e quindi allontanando la fine dell’agonia, la Germania pretenderà da noi Maiali/Piigs il ricorso al Fondo Salva-Stati (Esfs o Mes) per una prima tranche di prestiti a noi concessi». Nuovo debito, quindi. Ma attenzione: si tratta «di quel tipo di debito mortale che non solo va restituito dissanguando cittadini e aziende, ma comporta la resa nazionale alla schiavitù della micidiale Troika (Ue, Bce, Fmi) che è oggi freneticamente all’opera nella camere di tortura in Grecia».
E’ infatti è il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a introdurre il discorso delle “precondizioni” all’intervento del Smp/Bce. Dice: «La precondizione è che i politici facciano i necessari passi per le riforme». Tradotto: «Sappiamo noi pensionati, scuole, pompieri, ammalati, dipendenti e aziende cosa sono le “riforme”», scrive Barnard nel suo blog già il 27 luglio. «Infatti è un anonimo alto ufficiale della Commissione oggi a parlare al “Financial Times” di un “memorandum” che il Paese in crisi dovrà firmare per ottenere i soldi del Fondo Salva-Stati prima, e successivamente quelli del Smp/Bce». Ma Monti non si era preso il merito di aver “strappato” a Bruxelles la garanzia di poter ottenere aiuti senza le condizioni-capestro di «quei tragici memorandum di schiavitù»? Barnard non ha dubbi: «Ci terranno in galera, ma non senza prima averci mozzato una caviglia, così da esser veramente certi che urleremo». Buio totale, un vicolo cieco: «Non hanno limiti, sarà anche peggio di così».
Puntuale, una settimana dopo, la conferma dallo stesso Draghi: «Prima i governi facciano affidamento sui fondi salva-Stati, Efsf e Mes, e a condizioni molto severe». Come volevasi dimostrare: «Prima ci becchiamo la Troika dell’economicidio terminale, poi quando siamo ridotti come la Grecia, semmai la Bce apre i rubinetti», chiosa Barnard, che non risparmia “complimenti” al premier: «Monti, sei un bugiardo, un criminale e un buffone». Nero su bianco, le stesse accuse che l’ex giornalista di “Report” affidò, mesi fa, alla regolare denuncia inoltrata alla magistratura attraverso i carabinieri. Denuncia nella quale Barnard ha accusato Monti e lo stesso Napolitano di aver tradito la Costituzione, consegnando l’Italia – con l’insediamento forzato dei tecnocrati, su ordine di Bruxelles – ai suoi “terminatori”: rigore cieco e “riforme strutturali” per stroncare il paese a beneficio della speculazione finanziaria. L’Italia indebolita, accusa Barnard, sarà facile preda: privatizzazioni-truffa, depressione diffusa, amputazione (attraverso il Fiscal Compact) della capacità dello

Stato di sostenere ilminimo livello vitale di spesa pubblica, quella che sorregge il welfare, le famiglie e le stesse aziende.
Fra le tragedie più acute quella del lavoro, su cui cala la scure di Elsa Fornero. «I mercati sono keynesiani e lo sono da anni – spiega Barnard – perché da anni reagiscono con la massima violenza a una notizia: il numero di posti di lavoro creati in un dato Paese». Se i posti di lavoro sono inferiori a quelli previsti («ripeto: meno delle aspettative, non più delle aspettative») i “mercati” vanno nel panico e fuggono coi loro capitali da quel paese. «Lo capirebbe un tonno che Keynes aveva ragione, e i mercati lo sanno benissimo: sono gli stipendi che creano i consumi, che creano la produzione che salva le aziende, le quali assumono e creano altri stipendi e la ruota gira di nuovo». Nessun segreto: «Lo Stato è il primo garante e iniziatore di questa ruota, l’unico possibile. E’ questo che fa economia, non il contrario», benché la ministra ammazza-pensioni sostenga che proprio i tagli potrebbero “salvare” il paziente. Elsa Fornero? Nient’altro che una «ignorante sicaria della distruzione dell’occupazione italiana».

 di Libre
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martedì 7 agosto 2012

L’esperienza dell’autogestione in Argentina



L’esperienza dell’autogestione in Argentina


«In Argentina, ogni volta che un'azienda chiude, i lavoratori sono pronti ad occuparla»
Intervista di Mario Hernandez a Eduardo "Vasco" Murúa, della fabbrica autogestita IMPA

[Estratto]
Siamo con Eduardo Murúa, portavoce dell'azienda IMPA recuperata nel 1998. Una delle prime esperienze di autogestione che sta per aprire anche un centro culturale.

Abbiamo fatto di quest'azienda un'impresa produttiva ed un centro culturale.


Oggi avete 2.500 studenti, ma le attività dell'Università dei Lavoratori sono iniziate l'anno scorso.

L'anno scorso abbiamo fatto vari seminari e in aprile cominciano le lezioni di Storia, Matematica e Lingue. Il 16 gennaio abbiamo definito un nuovo corso di studio, atipico, legato alle nuove forme di economia popolare e sociale, calibrato sulle necessità di preparazione dei compagni nella gestione di queste nuove imprese sociali. Partiamo in aprile/maggio. I professori sono già disponibili. L'Università si trova in Rawson 106. Abbiamo avuto un anno intenso. Ricordo di essere stato a una giornata di Medicina Comunitaria organizzata nel nostro paese per la prima volta, con la partecipazione di compagni latinoamericani attraverso il Centro Culturale "La Puerta" che coordina Héctor Fenoglio. L'anno si è chiuso con un cineforum. Ha funzionato la cattedra "Che" Guevara di Néstor Kohan. Hanno partecipato Osvaldo Bayer e Atilio Borón. (...)


Sono passati 10 anni dal 19-20 dicembre 2001. Il movimento di aziende recuperate è partito alla grande da questa data, seppure siano esistiti dei precedenti.


Si ora ha assunto una notevole visibilità. Nel 2001 molte aziende sono fallite ed è stato proprio allora che 80 furono occupate e autogestite.


Ora quante aziende recuperate si contano?


330 aziende. Tra il 1998 e il 2003 ce n'erano già 170, in seguito il fenomeno ha rallentato.


Insomma, il fenomeno non è mai scomparso del tutto.


Sì, non è scomparso nonostante la crescita economica del paese che ha permesso di riattivare 150 aziende; ma anche se il PIL è cresciuto hanno continuato a chiudere fabbriche e alcune sono state occupate e riattivate dai lavoratori.


Di quanti lavoratori stiamo parlando?


Di 15-16.000 lavoratori. La cosa più interessante è che se c'è stata la fase in cui hanno avuto bisogno di aiuto, ora non ne hanno più. Questo nuovo metodo di lotta è orami inserito nel movimento operaio argentino e ogni volta che una fabbrica chiude i lavoratori sono già pronti a occuparla e autogestirla. Forse è stata la cosa migliore che abbiamo mai fatto.


Capisco, intende creare questa coscienza. Il 2001 ha permesso di rendere visibile il movimento di recupero delle aziende. (…) E si è trattato anche di una via tracciata a livello latinoamericano. Mi ricordo di qualche partecipazione nella trasmissione "Aló presidente" insieme al comandante Chávez. Il movimento delle fabbriche recuperate in Argentina ha collaborato con altri paesi della regione.


A partire dal 2002 abbiamo lavorato insieme al Venezuela nel recupero di alcune aziende. E' stato quando ci fu la serrata padronale per far cadere Chavez. Prima abbiamo recuperato una grande azienda che sta ancora funzionando come azienda autogestita. In seguito, il rapporto col presidente Chávez ci ha permesso di mettere in collegamento aziende recuperate in Uruguay, Brasile, Venezuela e Argentina in un incontro organizzato nel 2005. Ancora oggi stiamo condividendo informazioni. Siamo riusciti a far arrivare un grande aiuto dal Venezuela al Brasile e allo stato uruguayano. In Argentina, invece, non è stato possibile.


Ho avuto modo di conoscere il materiale pubblicato a Cuba dalla figlia di Marta Harnecker sui cambiamenti annunciati nell'economia cubana in cui la questione della cooperativa ha un rilievo primario. Diciamolo, la maggior parte delle aziende recuperate hanno adottato la forma cooperativa.


Lavoriamo tutti in autogestione e adottiamo la forma della cooperativa perché la legge sulle cooperative in Argentina permette la democrazia interna, lascia che siano i lavoratori a decidere. Abbiamo opinioni diverse sul reddito: noi siamo per la distribuzione egualitaria e la legge non lo dice, ma riteniamo che questa sia la forma migliore che si adatta al recupero delle aziende. Noi non partecipiamo al movimento cooperativo perché siamo sempre stati nel movimento operaio e nell'ambito delle cooperative c'è di tutto, alcune sono completamente adattate al sistema. In ogni modo, è un sistema superiore a quello capitalista. I cambiamenti a Cuba mi preoccupano, ma sono parte del nostro dibattito. Siamo sempre stati molto critici con l'autogestione perché non crediamo che sia la salvezza. Riteniamo che i mezzi di produzione più importanti debbano rimanere nelle mani dello Stato e pianificati dal nostro popolo. Non crediamo nelle cooperative come uscita per un nuovo modello socioeconomico. Dobbiamo essere coscienti della necessità del controllo popolare sui mezzi di produzione. Nel caso di queste 330 piccole imprese, l'autogestione può servire come seme per vedere il nuovo, per far crescere la coscienza popolare che non sono necessari i padroni, che gli investimenti stranieri non sono indispensabili per generare impiego e che il lavoro è più importante del capitale, che in definitiva è soltanto lavoro accumulato. Credo che quando i popoli lo avranno capito, allora avremo una via d'uscita.


da www.resistenze.org
Fonte http://www.rebelion.org/noticia.php?id=143313
Traduzione dallo spagnolo a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare



Argentina dieci anni dopo il default: la rinascita



Argentina, 10 anni dopo il default. Così rinasce un Paese


 leggi anke ,,, http://cipiri5.blogspot.it/2012/08/argentina-dieci-anni-dopo-il-default-la.html
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Argentina dieci anni dopo il default: la rinascita



Argentina, 10 anni dopo il default. Così rinasce un Paese



 Nel 2001 lo Stato sudamericano affrontava il tracollo economico. Oggi il Pil cresce del 7-8% l'anno e i disoccupati sono dimezzati. E nel guardare alla crisi dell'Europa, Buenos Aires rivive il suo passato. Ma ha qualcosa da insegnare...


Report 22/04/2012 - L'Argentina dieci anni dopo il default

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Report 22 aprile 2012 - Dieci anni fa, il default: chiusura delle fabbriche, disoccupazione. Come si sono risollevati?. Da Smarcamenti in campo di Michele Buono.



Faceva un caldo infernale in quei giorni di dicembre di dieci anni fa e Buenos Aires stava per esplodere da un momento all’altro. Ed esplose. Ma un decennio dopo il Paese vive una nuova stagione e racconta una storia che anche in Italia va ascoltata con attenzione.

L’Argentina del 2001 aveva un debito estero che cresceva spaventosamente e riceveva da tempo le missioni del Fondo Monetario Internazionale che imponevano tagli pesantissimi al debolissimo governo di Fernando de la Rua, lasciato solo un anno prima dal suo vicepresidente Chacho Alvarez e in balia dei mercati che non si fidavano più dei cosiddetti “tango bonds”. La scure dell’austerità chiesta dagli organismi di credito si era abbattuta prima sui lavoratori pubblici, poi sui pensionati; infine, il colpo di grazia, il blocco di tutti i conti correnti decisi dal ministro dell'Economia Domingo Cavallo.

Il corralito, termine che viene usato in spagnolo per identificare i recinti per gli animali al pascolo o, con molta più immaginazione, i box per far giocare per i bambini, diventava invece la gabbia con la quale i risparmi accumulati da milioni di argentini venivano bloccati in banche sull’orlo del fallimento. La crisi era totale; politica, sociale, economica, istituzionale. Per mesi l’Argentina navigò a vista, il paese in default, la cessazione del pagamento del debito estero, con la gente in strada a gridare "que se vayan todos", "fuori tutti".

Arrivò allora il pompiere Duhalde, peronista capace di placare la piazza dopo aver contribuito a infiammarla. Poi, nel 2003, Nestor Kirchner, un altro peronista ma molto più pragmatico ed eterodosso. Assieme al suo ministro d’economia Lavagna, Kirchner decide di ristrutturare il debito a modo suo, il governo avrebbe pagato solo una parte, il resto non era proprio possibile saldarlo. Buenos Aires decise di fare da sola, non avrebbe più accettato i "consigli" di Banca Mondiale e Fmi, non avrebbe più legato il suo destino a quello degli organismi di credito.

Oggi l’Argentina è cambiata, la situazione economica è consolidata, il Pil cresce del 7-8% all’anno, cifre da tigre asiatica. I poveri e i disoccupati sono meno della metà rispetto allo spaventoso 50% di allora, i consumi sono aumentati notevolmente, anche se l’inflazione viaggia al 20% all’anno. Tutto il sistema si regge sulle grandi esportazioni agricole verso i mercati asiatici, Cina in testa, ma nel frattempo sta rinascendo una rete di industrie nazionali, mentre lo Stato ha nazionalizzato i fondi pensionistici, la compagnia di bandiera Aerolineas Argentinas e numerose altre imprese strategiche.

Ironia della storia, oggi è il Sudamerica a guardare a crisi lontane, come quella che sta colpendo diversi paesi europei, tra cui l’Italia. "C’è una vita dopo la ristrutturazione del debito estero – ha affermato in una sua recente visita a Buenos Aires il premio Nobel dell’economia Joseph Stiglitz – la lezione argentina lo dimostra. Le misure recessive distruggono i paesi in crisi, sono il punto di grazia, perché producono più disoccupati, più poveri e più recessione proprio quando invece si dovrebbe stimolare la produzione, il consumo e la mobilità sociale".

La presidenta Cristina Fernandez, vedova di Nestor Kichner ha appena vinto le elezioni ed inaugurato il suo secondo mandato alla Casa Rosada. Nei suoi discorsi cita spesso e volentieri il caso europeo. "Stanno commettendo gli stessi errori che fecero con noi, la storia non insegna nulla", riferendosi ai grandi organismi internazionali dell’economia. Nel frattempo, anche i cicli migratori cambiano rotta. Prima erano i giovani argentini ad andarsene in Europa a cercare lavoro, oggi è in atto una migrazione al contrario e centinaia di ricercatori tornano in patria grazie al programma Raices, radici, che punta a recuperare quanto perduto con la fuga di cervelli degli anni drammatici.

A Buenos Aires, in quest'estate australe 2012 che sta per iniziare, fa sempre caldo, ma questa volta gli animi sono molto più sereni e pure il decimo anniversario dei tragici fatti del 2001, che lasciarono trentanove morti in piazza, son ricordati come un tempo lontano, che nessuno vuole vedere di nuovo.


L'Argentina, intanto, si appresta a vivere un altro momento di transizione. Il prossimo 4 gennaio, infatti, la presidente Cristina Fernandez de Kirchner, 58 anni, sarà sottoposta ad un intervento chirurgico a causa di un cancro della tiroide: lo ha reso noto il portavoce della Casa Rosada, Alfredo Scoccimarro, escludendo "una metastasi".
Dopo l'intervento, la Fernandez prenderà "un permesso medico per 20 giorni", ha aggiunto il portavoce, precisando che in tale periodo la Fernandez sarà sostituita dal vicepresidente Amado Boudou.


di Emiliano Guanella

L’esperienza dell’autogestione in Argentina



L’esperienza dell’autogestione in Argentina

leggi anke : http://cipiri5.blogspot.it/2012/08/lesperienza-dellautogestione-in.html

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domenica 5 agosto 2012

ITALIA: SUICIDIO DI DONNA SENZA LAVORO



ANCORA IL SUICIDIO DI UNA MAMMA SENZA LAVORO -
E IN ITALIA NON SI INTRODUCE ANCORA IL REDDITO MINIMO DI CITTADINANZA COME NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI , TRANNE LA GRECIA E L´ITALIA -
DIFFONDETE PERCHE´DALL ´INFORMAZIONE PARTE IL CAMBIAMENTO , ANZI E´GIA´PARTITO GRAZIE A NOI TUTTI AMICI -
Il reddito minimo garantito ha anche una geografia piuttosto variegata. Oggi esiste in tutti i gli Stati membri de
lla Ue, tranne appunto Italia, Grecia e Bulgaria.
E' una misura di politica sociale che è stata anche ripetutamente sollecitata dalla stessa Unione Europea a partire dal 1992. La tradizione più lunga in questo campo ce l'hanno sicuramente la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda e i paesi scandinavi.

In Inghilterra si chiama Income-based Jobseeker's Allowance, cioè "per chi cerca lavoro", ma non ha un limite temporale. Se ne ha diritto a partire dai 18 anni se si ha un reddito inferiore a circa 13mila euro e ammonta a 300 euro al mese+ affitto

In Germania l'importo minimo è di 345 euro + affitto al mese ma aumenta in caso di famiglie numerose e si può ricevere dei 16 ai 65 anni.

Anche in Francia il sussidio cresce con il numero di componenti della famiglia ma si parte da un minimo di 425 euro al mese. L'età minima è 25 anni.

In Norvegia esiste addirittura un "reddito di esistenza" di 500 euro mensili che viene erogato senza limiti di età.


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