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giovedì 21 febbraio 2013

L'origine storica dei Giochi di Carte


L'origine storica dei Giochi di Carte



  Un pò di storia...

Non è certo se le carte siano un’invenzione cinese risalente al secondo millennio a.C., venuta attraverso l’India per mezzo degli arabi che le chiamavano "naibbe (na’ib), o se siano una derivazione indiana degli scacchi; sembra certo però che non siano state inventate in alcun paese d’Europa.
Secondo una suggestiva credenza le origini delle carte da gioco sarebbero molto più antiche e risalenti agli egizi ed in particolare al dio Thot che volendo insegnare agli uomini l’arte della scrittura inventò i geroglifici la cui evoluzione portò all’equiparazione degli stessi con i numeri e i semi delle carte...
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lunedì 11 febbraio 2013

Sindacalista si impicca con bandiera della Cgil

Canicattì, sindacalista si impicca con bandiera della Cgil

Giuseppe , 57 anni, di Canicattì, ex consigliere comunale del Pd e attivista della Cgil, si è impiccato nella sede della camera del lavoro in Corso Umberto, a Canicattì. Giuseppe  ha lasciato una lettera dove però non ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a questo estremo gesto. Il cadavere è stato trovato  dal personale stesso ancora avvolto dalla bandiera della Cgil usata da Palmeri per impiccarsi. Subito sono stati avvertiti i soccorritori che, una volta giunti sul posto, non hanno che potuto constatare il decesso dell’ex consigliere comunale.

Disoccupato, aveva scritto a Camusso e Napolitano. Aveva raccolto i nomi di tutti i suicidi per lavoro, alla fine aveva messo il suo

La Costituzione italiana, con dentro un foglietto: l'elenco dei suicidi per lavoro degli ultimi due anni. E l'ultimo della lista, scritta di suo pugno, è il suo stesso nome: Giuseppe . Muratore e sindacalista Cgil, 61 anni, di Guarrato, paesino del trapanese, Giuseppe ha deciso di togliersi la vita, impiccandosi nella notte tra sabato e domenica scorsi. Non riusciva più a vivere senza lavoro, prima ancora per un senso di dignità e di utilità sociale, che per un bisogno economico: «Se non lavoro non ho dignità. Adesso mi tolgo dallo stato di disoccupazione», le due frasi scritte nel foglio che ha lasciato nella Carta che detta i fondamenti della nostra Repubblica.

E tra questi, il primo e più importante, è l'articolo uno: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Questa frase, così bella, negli ultimi anni deve essere rimbombata come un incubo martellante nella testa di Giuseppe. Soprattutto da quando era entrato in uno stato di profonda depressione, perché non c'era proprio modo di trovare un lavoro.

Giuseppe aveva lavorato fin da bambino come muratore, prima segando il marmo, poi costruendo mattoni. Aveva svolto anche attività sindacale, nella Fillea Cgil, la categoria che segue gli edili. L'ultimo contratto che riesce ad avere risale al 2000. Da quell'anno in poi la cooperativa Celi di Santa Ninfa, nata dopo il terremoto che nel 1968 aveva colpito la Valle del Belice, lo aveva lasciato a casa perché non c'era più lavoro neanche per i soci. Per due anni Giuseppe riceve così l'indennità di disoccupazione, di 700 euro al mese, e poi niente altro. Magari lavoretti, per arrangiarsi e arrotondare: non essendo sposato e non avendo figli quel sussidio basta, almeno all'inizio. Ma la mancanza di un'occupazione gli fa comunque male: non riesce a stare senza fare nulla. «Era l'unica cosa che lo faceva sentire realizzato - raccontava ieri alla Repubblica il fratello maggiore, Giovanni - Viveva la disoccupazione come una situazione di oppressione».

Giuseppe non era stato fermo, negli ultimi anni, anzi aveva cercato di reagire. Andava al sindacato, faceva parte del direttivo provinciale della Fillea: parlava con i suoi colleghi, e a una delle ultime assemblee del 2012, alla Cgil, aveva preso la parola. Aveva parlato di quelli come lui, che «sono rimasti a casa», e sembrava non arrendersi. Si era perfino speso per il rinnovo del contratto degli edili, anche se in realtà, nel suo stato di prolungata disoccupazione, era come se non lo riguardasse più. E ultimamente aveva scritto due lettere: una alla segretaria della Cgil, Susanna Camusso, e l'altra a Giorgio Napolitano, il primo cittadino, garante della Costituzione. I carabinieri hanno trovato le missive nella sua tasca, domenica mattina, allertati dal fratello.

Nelle lettere aveva espresso il suo profondo disagio: «L'articolo 1 della Costituzione dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. E allora perché lo Stato non mi aiuta a trovare lavoro? Perché non mi toglie da questa condizione di disoccupazione? Perché non mi restituisce la mia dignità?». Fino alla minaccia, infine realizzata. «E allora se non lo fa lo Stato lo debbo fare io...».

«Vedo ogni giorno negli occhi dei lavoratori la paura di perdere il proprio posto - dice Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil - Ma nella maggior parte dei casi vedo la disperazione di non sapere come tirare avanti senza un'occupazione, o con 700 euro di cassa integrazione o vendendo la propria fatica per 20 euro al giorno nei mercati illegali delle braccia. E allora ti chiedi che ci stai a fare, come mai non riesci a fermare questa valanga impazzita». Per il segretario del Pd Pierluigi Bersani, il suicidio di Giuseppe «è stata una coltellata»: «Ci occuperemo di questo problema del lavoro - aggiunge - senza promettere miracoli, ma facendo capire che si parte da chi è in difficoltà». «Credo che oggi tutti i partiti dovrebbero parlare solo di Giuseppe Burgarella - dice Antonio Ingroia, candidato premier di Rivoluzione civile - Bisogna dare una risposta a tutti gli italiani che subiscono gli effetti della crisi». 

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venerdì 1 febbraio 2013

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