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sabato 11 maggio 2013

USB Unicoop Firenze vince le elezioni



Lo tsunami sindacale comincia ad essere una realtà evidente. Quando possono scegliere i lavoratori scelgono il sindacato di base e di classe punendo la triplice collaborazionista. Mentre continuano a pervenire i dati dei seggi scrutinati alle elezioni RSU in Unicoop Firenze (vedi più in basso) possiamo affermare la netta vittoria politica dell’Unione Sindacale di Base che, dove ha presentato le proprie liste, ha demolito le liste confederali. Questo è il frutto del lavoro dei nostri delegati che per anni anno svolto attività sindacale in assenza di diritti ma ben sapendo da che parte stare. Durante le elezioni di Firenze, all'Ipercoop di Afragola i lavoratori ed i delegati USB hanno fatto irruzione nella sala, presidiata dalla sicurezza aziendale, dove Unicoop Tirreno, Cgil, Cisl e Uil stavano discutendo della chiusura della struttura e dei conseguenti 250 licenziamenti.

Se a tutto ciò aggiungiamo la notizia, sempre di oggi, dell’azzeramento dei licenziamenti al San Raffaele di Milano dopo una lunga lotta e dopo che Cgil, Cisl e UIL avevano accettato tutte le richieste dell’amministrazione, proposto cassa integrazione e contratti di solidarietà, invitato i lavoratori a votare sì ad un referendum inaccettabile e, da ultimo, revocato lo sciopero dell’8 maggio scorso; possiamo affermare che oggi c’è stata una risposta inequivocabile all’accordo sulla rappresentanza che Cgil, Cisl e Uil con Confindustria vorrebbero firmare sulla pelle dei lavoratori, un accordo che ricalca, in salsa sindacale, l’inciucio che ha portato al “governissimo” di salvezza nazionale di Letta ed Alfano. Un accordo che sarebbe fotocopia degli accordi tra Fiat e Cisl e Uil, solo che questa volta sarebbe sottoscritto e sostenuto anche dalla Cgil della Camusso e dalla Fiom di Landini.

I risultati elettorali di oggi, come quelli recenti della SIGMA TAU, hanno dimostrato che quando Cgil, Cisl, Uil si misurano con la rappresentanza vanno incontro a pessime figure, forse per questo hanno la frenesia di accreditarsi come uniche controparti per i padroni e per i Governi.

Le mobilitazioni del San Raffaele e della Coop Campania ci dimostrano che i lavoratori, se vengono messi in condizione di scegliersi il proprio futuro, non si rassegnano alla politica della riduzione del danno ma hanno le qualità, l’energia e la determinazione per affrontare un percorso di lotta tesa alla salvaguardia dei diritti e del salario ed in grado di rigettare al mittente i piani industriali fatti sulla carne di chi lavora.

Oggi abbiamo affermato con i fatti che la democrazia nei luoghi di lavoro è un diritto indisponibile delle lavoratrici e dei lavoratori e non delle organizzazioni sindacali, che il pluralismo della rappresentanza deve essere garantito e che il diritto di sciopero non deve essere toccato in quanto diritto soggettivo indisponibile previsto dalla Costituzione, se ne facciano una ragione lorsignori…

ELEZIONI RSU Unicoop Firenze - Magazzino di Sesto Fiorentino

Aventi diritto 33 Votanti 31 USB Lavoro Privato voti 25 Filcams Cgil voti 1 Schede bianche 5

ELEZIONI RSU Unicoop Firenze - Magazzino di Scandicci

Aventi diritto 278 Votanti 201 Lista USB Lavoro Privato voti 147 Lista Fisacat Cisl voti 33 Schede bianche 2 Schede nulle 11

ELEZIONI RSU Unicoop Firenze - Il Neto

Aventi diritto 52 Votanti 30 Lista USB Lavoro Privato voti 26 Lista Filcams cgil voti 2 Schede bianche 1 Schede nulle 11

da : http://www.contropiano.org/sindacato/item/16505-usb-unicoop-firenze-stravince-le-elezioni-usb-coop-campania-irrompe


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giovedì 9 maggio 2013

BLOG DI CIPIRI: Sabato 18 maggio i metalmeccanici si mobilitano e ...



Sabato 18 maggio i metalmeccanici si mobilitano e scendono in piazza a Roma



Appello per la manifestazione
Per aderire invia una mail a fiom18maggio@fiom.cgil.it





Diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza, per la giustizia sociale e la democrazia

Sabato 18 maggio i metalmeccanici si mobilitano e scendono in piazza a Roma perché cinque anni fa con il governo Berlusconi ci avevano detto che la crisi non c'era, era passeggera, addirittura superata.

Negli ultimi due anni col governo Monti, visto che la crisi non si poteva più negare, si è passati a un uso della crisi per legittimare le politiche di austerità in tutta Europa.

La scelta di non intervenire sulle cause ha determinato che il 10% della popolazione ha il 50% della ricchezza: i responsabili hanno quindi continuato ad aumentare le proprie rendite. Inoltre le banche hanno ridotto il credito e investito in titoli spazzatura e la Confindustria ha puntato sulla cancellazione dei diritti e la riduzione del salario.


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sabato 4 maggio 2013

BLOG DI CIPIRI: Reddito minimo, le condizioni per farlo


Reddito minimo, le condizioni per farlo



L’esperienza del reddito di garanzia nella provincia di Trento dimostra che anche nel nostro paese si possono avviare serie misure contro la povertà, basate sul criterio dell’universalismo selettivo, senza far saltare i bilanci pubblici. A patto però di rispettare alcune condizioni...

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mercoledì 1 maggio 2013

Sud Africa, sciopero ad oltranza

La protesta dei minatori sudafricani

I lavoratori si battono per l'aumento del salario minimo e il miglioramento delle condizioni di lavoro.
 Il Paese fa ancora i conti con i lasciti del regime di segregazione.

Cape Town - Primo Maggio di sciopero per molti lavoratori sudafricani. Il malcontento è esploso la scorsa settimana con la marcia di protesta degli insegnanti a Pretoria e per le strade di Cape Town e con i conducenti degli autobus che hanno dato il via allo sciopero nazionale dei trasporti. Inizia così maggio, deputato a essere mese di trattative e contrattazioni per molti settori tra cui anche quelli minerario, manifatturiero e chimico.

Al centro delle richieste c'è essenzialmente l'aumento del minimo salariale, veramente minimo per la maggioranza dei lavoratori che non occupano posti di management aziendali. Vale a dire per la maggioranza dei lavoratori non bianchi. Benché rivolte contro le politiche del lavoro delle grandi aziende e contro quelle del governo, le proteste stanno colpendo nell'immediato soprattutto i lavoratori che da molte baraccopoli ogni mattina prendono l'autobus per recarsi nelle zone industriali. Un'ondata di pendolari, molti dei quali non posseggono una macchina, in coda presso le stazioni dei taxi collettivi e costretti a costi di trasporto aggiuntivi per molti di loro non sostenibili a lungo termine, soprattutto considerando il fatto che le tariffe dei taxi sono aumentate di più del 200% nel giro di dieci giorni.

Insieme ai pendolari a soffrire una situazione che trova come ogni anno negli scioperi di questo periodo semplicemente una valvola di scarico, sono anche gli studenti delle scuole elementari e medie delle zone rurali dell'Eastern Cape. Da qui infatti sono partite le proteste degli insegnanti per i quali lo svolgimento del lavoro è una conquista giornaliera in aule sovraffollate, in molti casi senza banchi, e con mattoni al posto delle sedie, senza acqua e in condizioni igieniche che violano la dignità e i diritti umani essenziali.

La cosa più triste è osservare che tutto questo rappresenta nulla di nuovo sotto il sole sudafricano. I minatori, così come i lavoratori delle aziende agricole, gli insegnanti dell'Eastern Cape e gli autisti degli autobus ottengono retribuzioni veramente basse. Questi ultimi chiedono un salario minimo di 6000 rand (circa 509 euro) sussidi di 1000 rand (meno di 85 euro) per gli alloggi e maggiori aiuti finanziari di assistenza medica. Richieste considerate onerose dai datori di lavori e sulle quali non si riesce a trovare alcun accordo in sede di contrattazione.

Situata nella Hex River Valley, De Doorns, a 100 chilometri da Cape Town, rappresenta l'epicentro degli scioperi dei lavoratori delle aziende agricole del Western Cape e sinonimo di scontri con le forze di polizia, tra lanci di pietre, proiettili di gomma e copertoni bruciati. Dei circa 16mila lavoratori, circa la metà è impiegata a tempo indeterminato mentre l'altra metà è stagionale e proviene da altre province o da altri Paesi di confine. In un rapporto dell'agosto 2011 sullo stato dei diritti umani nei settori frutticolo e vinicolo in Sudafrica intitolato "Ripe with Abuse. Human Rights Conditions in South Africa's Fruit and Wine Industries", Human Rights Watch aveva documentato condizioni di sfruttamento e violazione dei diritti umani a cominciare dalle condizioni di vita inadatte negli alloggi, l'esposizione senza alcuna protezione ai pesticidi, la mancanza di accesso ai servizi igienici e all'acqua potabile durante le ore di lavoro e i tentativi di scoraggiare e bloccare la formazione di sindacati tra i lavoratori. A gennaio scorso, sei mesi dopo i il massacro di Marikana, città a 100 km da Johannesburg, quando 34 minatori in sciopero della miniera di platino Lonmin vennero uccisi dalla polizia, le forze dell'ordine hanno nuovamente aperto il fuoco sparando proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro questi lavoratori in sciopero da giorni per un salario più dignitoso e ne hanno arrestati 44. Guadagnavano 69 rand (meno di sei euro) al giorno; ora tra le lagne dei datori di lavoro - che sostengono di non potersi permettere aumenti di paga e minacciano di meccanizzare la catena di lavoro - hanno ottenuto di guadagnarne 105 al giorno (meno di nove euro).

E cosa dire del settore minerario sudafricano che è sempre più stretto nella morsa delle logiche di mercato, delle rivalità sindacali che indeboliscono il potere contrattuale dei lavoratori e delle disparità di reddito che vedono una forza lavoro analfabeta e sottopagata subire i costi più alti in termini di sopravvivenza?

A febbraio gli scioperi sono violentemente riesplosi nella regione mineraria a ridosso di Johannesburg, tra la cintura di platino delle miniere di Rustemburg e le baraccopoli circostanti da dove proviene la maggior parte dei minatori. Dopo che a gennaio l'Anglo American Platinum Limited (AMPLATS), il maggior produttore di platino a livello mondiale, ha annunciato di volere tagliare circa 14mila posti di lavoro, c'è attesa per il prossimo 6 maggio quando dovrebbe essere reso noto l'esito delle trattative con il governo e i sindacati sul nuovo piano industriale e la sorte dei lavoratori che rischiano di perdere il lavoro.

Il quadro di riferimento alla base di quest'autunno caldo in Sud Africa sfugge a una semplicistica analisi economica se ricondotta alle sole ragioni della crisi economica globale. Il framework è piuttosto quello segnalato dalla tredicesima edizione del rapporto dell'Equity Employment Commission, per i settori pubblico e privato, secondo cui nel 2012 solo il 12,3% delle posizioni di top management risulta occupata da neri a fronte del 72,6% di quelle occupate dai bianchi e questo nonostante ci siano leggi come l'Employment Equity Act del 1998 a tutela dei lavoratori di colore.

Diciannove anni dopo la fine dell'apartheid il Sud Africa fa ancora i conti da un lato con l'eredità di quel regime di segregazione - che negando l'accesso all'istruzione alla maggioranza della popolazione ha creato masse di lavoratori non qualificati e, attraverso politiche economiche a tutela degli interessi della sola minoranza bianca, una povertà strutturata - e dall'altro con l'incapacità delle amministrazioni del post-apartheid di trovare adeguate e radicali soluzioni per la creazione di nuovi posti di lavoro e per garantire a tutti un sistema scolastico adeguato.

di Rita Plantera

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=73165

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La lotta dei lavoratori egiziani


Stipendio minimo, misure contro la disoccupazione, indipendenza dei sindacati: le richieste dei lavoratori che oggi manifestano nella capitale egiziana.

- "I lavoratori egiziani, i gruppi ed i movimenti politici che sostengono i diritti dei lavoratori e le richieste dei più poveri in generale, protesteranno non solo il Primo Maggio, ma anche nei giorni precedenti e successivi in molti governatorati, per far valere i propri diritti". Con queste parole l'Unione Egiziana dei Sindacati Indipendenti ha annunciato manifestazioni e proteste che si concentreranno in particolare nella giornata di oggi, primo maggio, festa dei lavoratori.

Una marcia di protesta avrà inizio all'una di pomeriggio nel quartiere cairota di Sayda Zeinab e si dirigerà verso il Consiglio della Shura. Sarà una manifestazione per richiedere un piano contro la disoccupazione, per l'approvazione di leggi che assicurino l'indipendenza dei sindacati e per il diritto di protesta dei lavoratori.

"Ogni anno abbiamo le stesse richieste" ha spiegato Dalia Moussa, membro del Centro Egiziano per gli Studi Economici e Sociali (ECESR). "Richieste di base: stipendio minimo e massimo; incentivi per la ripresa delle attività di quelle industrie che son state costrette a chiudere; nuove opportunità per i lavoratori licenziati - ma non veniamo mai ascoltati".

I lavoratori continuano a protestare per far valere i propri diritti. Secondo uno studio sui movimenti dei lavoratori pubblicato da ECESR domenica 28 aprile 2013, nel 2012 ci sono stati 3187 scioperi e proteste sociali per motivi economici, che ci sono concentrati soprattutto tra luglio e dicembre, cioè nei sei mesi successivi all'elezione di Mohammed Morsi. Un numero che continua a salire: tra gennaio e marzo 2013 sono state registrate più di 2400 proteste.

Ed è stato proprio il movimento dei lavoratori egiziani uno dei principali attori durante la rivoluzione che ha portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak l'11 febbraio 2011. Gli scioperi, nella capitale egiziana e nelle principali città industriali hanno giocato un ruolo fondamentale nella delegittimazione del regime e nel rendere popolare una cultura di protesta. E dalla caduta di Mubarak, si è creata una serie di sindacati dei lavoratori che ha sostituito la Federazione dei Sindacati Egiziani (ETUF), creata nel 1957 da Gamal Nasser e di fatto utilizzata da Mubarak per controllare il movimento dei lavoratori. Tuttavia già a partire dal 1998, nonostante la stretta morsa imposta dal regime, tra i 2 e i 4 milioni di lavoratori egiziani hanno dato vita a scioperi e manifestazioni. Risale al 2008 la formazione del primo sindacato indipendente, il RETAU, il Sindacato dei Collettori delle Tasse, fondato dall'attivista di sinistra Kamal Abu 'Aita. Furono proprio i successi e le lotte di RETAU a costituire un modello per la formazione di nuovi sindacati indipendenti, dai giorni della rivoluzione fino ad oggi. La prima nuova istituzione che si creò durante i giorni della rivolta fu l'Unione Egiziana dei Sindacati Indipendenti, la cui costituzione fu annunciata il 30 gennaio 2011 durante una conferenza stampa a piazza Tahrir. Fu un atto rivoluzionario, contro il monopolio dell'ETUF, che pose le basi per una nuova legalità.

Tuttavia, nonostante le importanti conquiste degli ultimi anni, la strada da percorrere è ancora lunga: sono ancora in piedi molte pratiche, istituzioni e personalità del vecchio regime; la Federazioni dei Sindacati Egiziani continua ad avere un forte potere e gode dell'appoggio delle Consiglio Supremo delle Forze Armate; ed il movimento dei lavoratori continua ad essere sotto-rappresentato in parlamento.

 di Anna Clementi
http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=73152
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Netanyahu taglia e il sindacato insorge

La protesta dei dipendenti della compagnia aerea israeliana El Al


Tagli selvaggi a educazione e welfare e ondata di privatizzazioni. Le parti sociali minacciano lo sciopero generale. Le discriminazioni del mercato del lavoro interno.

Gerusalemme - Il pacchetto di riforme economiche lanciato dal nuovo governo Netanyahu sta spaccando il Paese. Il principale sindacato israeliano, costola del partito laburista, Histadrut minaccia lo sciopero generale contro i tagli selvaggi che l'esecutivo sta pensando di applicare all'educazione, i trasporti, il welfare e le infrastrutture statali per ridurre un buco di bilancio da 35 miliardi di shekel (7 miliardi di euro).

La federazione, che rappresenta oltre 800mila lavoratori per lo più nel settore pubblico, ha lanciato il guanto di sfida alla coalizione guidata dal premier Netanyahu: o negoziato o sciopero. Il segretario del sindacato, Ofer Eini, è stato chiaro: le forze sociali partecipino al processo di riforme e il governo mitighi i tagli o sarà il caos.

Nel mirino del sindacato c'è il ministro delle Finanze Yair Lapid, l'anchorman tv a capo del partito Yesh Atid, fazione ultranazionalista vera vincitrice del voto di fine gennaio. Lapid ha presentato all'esecutivo un piano di riforme economiche fondato su tagli aggressivi al budget statale: target del ministro le spese sociali, quelle per la sicurezza, per l'educazione e le esenzioni IVA, oltre ai sussidi a favore delle famiglie ebree ultraortodosse, finite nel mirino di Lapid da ben prima della campagna elettorale. Infine, il congelamento degli stipendi del settore pubblico e la riduzione dei finanziamenti a favore delle scuole private ultraortodosse. La proposta del ministro sarà discussa da governo e parlamento nelle prossime settimane e dovrebbe arrivare al voto definitivo prima del prossimo 9 giugno.

A far infuriare il sindacato Histadrut non sono solo i contenuti delle riforme economiche, ma anche la totale esclusione delle forze sociali dal dibattito. Tanto da chiamare subito allo sciopero generale: Eini ha fatto appello ai sindacati minori - rappresentanti di medici, insegnanti, lavoratori delle ferrovie, degli aeroporti, dei porti e delle banche - perché aderiscano alla protesta, prevista per le prossime due settimane, per costringere il governo al negoziato e all'emendamento della riforma economica. Intanto i dipendenti della compagnia aerea El Al sono già scesi sul piede di guerra, bloccando i voli all'aeroporto Ben Gurion per due giorni sostenuti dai dipendenti di altre compagnie. Hanno protestato contro il cosiddetto pacchetto Open Skies: un accordo con l'Unione Europea per aprire nuove rotte a basso costo che colleghino Israele ai Paesi europei. Nuove rotte per nuove compagnie: una liberalizzazione che secondo Histadrut provocherà un crollo del tasso di occupazione nel settore.

Privatizzazioni, liberalizzazioni e tagli. Un mix distruttivo secondo il sindacato. "La riforma comprende tagli di stipendio, l'aumento della pressione fiscale contro pensionati e lavoratori e una serie di iniziative unilaterali prese senza consultare Histadrut - ha scritto Ofer Eini in una lettera indirizzata al premier e al ministro delle Finanze - Ci opponiamo con forza a questa azione unilaterale e mobiliteremo il settore pubblico e i pensionati. Se la nostra richiesta di dialogo non sarà subito soddisfatta, prenderemo tutte le misure a nostra disposizione per difendere i diritti dei lavoratori e ridurre l'impatto dei tagli sui lavoratori e il settore pubblico".

Immediata la reazione del ministro Lapid che martedì 21 aprile aveva già detto di essere pronto alla 'guerra' e aveva rispedito al mittente le minacce: la riforma non conterrà solo tagli, ma anche la possibilità di rivedere gli accordi sindacali precedentemente firmati con Histadrut. Ovvero i contratti collettivi non sono intoccabili.

A quella di Lapid, è seguita a ruota la risposta di Netanyahu: le minacce di sciopero generale non sembrano toccarlo più di tanto. Mercoledì 22 marzo, in un discorso alla Knesset per il 153esimo anniversario della nascita di Theodor Herzl, il fondatore dell'ideologia sionista, il premier ha detto che "la minaccia di sciopero non sarà un deterrente, continueremo a lavorare per il bene del popolo". Al centro della riforma economica non ci sono solo i tagli alla spesa ma anche una nuova ondata di privatizzazioni che secondo il primo ministro permetteranno l'abbassamento dei prezzi di beni e servizi. "Herzl aveva una solida visione economica e sociale - ha proseguito Netanyahu - Parlava di educazione, welfare ed economia e credeva nell'imprenditoria privata. Io credo molto nelle riforme e nello smantellamento dei monopoli ed è proprio quello che vogliamo fare".

L'impronta che il premier Netanyahu intende dare all'economia israeliana è lo specchio dell'ideologia sionista, questo il contenuto del messaggio lanciato di fronte al parlamento: un Israele capitalista retto su un sistema di libero mercato, competizione economica e un forte settore privato in sostituzione dell'impresa pubblica.

Che la visione economica israeliana si sia ampiamente trasformata negli anni successivi alla nascita dello Stato di Israele è chiaro: nato su basi economiche socialiste, a partire dagli anni Ottanta Israele ha abbracciato in pieno la visione neoliberista e capitalista, trasformando così la struttura stessa della società. Oggi le differenze tra ricchi e poveri sono sempre più consistenti, un gap visibile concretamente camminando per le principali città israeliane, passando da un quartiere popolare ad uno residenziale.

Un gap che nel 2011 aveva provocato la nascita di un movimento sociale di base, i cosiddetti 'Indignados israeliani', che avevano occupato le piazze di Tel Aviv con tende di protesta per chiedere l'abbassamento dei prezzi degli affitti a favore della classe media e delle nuove coppie. La protesta, durata qualche mese, aveva volutamente evitato di trattare argomenti politici, qualil'occupazione militare della Cisgiordania e l'espansione coloniale nei Territori, due delle principali ragioni dell'impennata della spesa pubblica. Gran parte del budget israeliano va a finanziare colonie e sistema di difesa e sicurezza, togliendo risorse a educazione, sussidi e benefici per le classi medio-basse.

"Israele ha modificato le sue basi economiche a partire dagli anni Ottanta - ci spiega Yonathan Balaban, membro del sindacato indipendente Koach LaOvdim, nato cinque anni fa per rappresentare i lavoratori non sindacalizzati, tra cui immigrati e palestinesi - Il 1985 è l'anno di inizio di una serie di politiche neoliberiste e di privatizzazioni che hanno provocato come uno tsunami il crollo del potere dei sindacati. Fino al 1985, infatti, oltre l'80% dei dipendenti pubblici e privati era iscritto al sindacato, una percentuale altissima. Gran parte di loro era iscritta a Histadrut, sindacato nato nel 1920 come braccio del partito laburista e per decenni legato a doppio filo al partito. Era l'unico sindacato presente e la sua vicinanza ai laburisti, a capo del governo quasi ininterrottamente fino agli anni Ottanta, aveva provocato un indebolimento della lotta per la difesa dei lavoratori.Histadrut faceva gli interessi del governo laburista e la sua struttura non era affatto democratica". "Dopo il 1985 e l'ondata di privatizzazioni che ha stravolto l'economia israeliana - continua Balaban -il sindacato ha perso il suo ruolo centrale nella definizione delle politiche economiche e sociali. E ha perso iscritti: il numero dei lavoratori sindacalizzati è crollato sotto il 30% del totale nel settore pubblico, sotto il 20% in quello privato".

"Le politiche neoliberiste applicate negli ultimi trent'anni hanno provocato un gravissimo indebolimento dei diritti dei lavoratori: le discriminazioni sono consistenti e hanno creato dipendenti di serie A e dipendenti di serie B, donne, immigrati e palestinesi in primis. Le donne sono relegate in settori considerati 'femminili' e ricevono in media il 30% di salario in meno di un dipendente maschio che svolge lo stesso lavoro. Stessa differenza tra lo stipendio di un ebreo israeliano e quello di un palestinese israeliano. Il problema è a monte: la popolazione araba è tagliata fuori da molti settori, accessibili solo dopo aver prestato il servizio militare. I palestinesi non fanno il militare per legge e così perdono terreno. E anche se possiedono diplomi e lauree, entrano nel mercato del lavoro israeliano sempre nei settori più bassi e quasi mai nel settore pubblico (solo il 5% dei dipendenti pubblici è palestinese)".

Le prossime settimane daranno il polso della situazione e il vecchio sindacato, Histadrut, sarà chiamato ad assumere misure decise. Mostrando di essere una forza sociale alternativa al governo, e non un semplice carrozzone statale.

di Chiara Cruciati - L'Indro .

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