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mercoledì 29 gennaio 2014

Sud Africa: minatori bloccano la produzione


Sud Africa: minatori bloccano la produzione

A 18 mesi dalla strage di Marikana e a tre dal voto, i lavoratori non si arrendono 
e chiedono aumenti.
 Ma i giganti mondiali del settore non cedono

Cape Town - Sono giornate al cardiopalma non solo per il ministro delle Finanze Pravin Gordhan ma per l'intero establishment governativo della Rainbow Nation e per il gotha manageriale dei colossi mondiali della produzione del platino, paralizzata ormai da giorni da un mega sciopero a oltranza dei minatori indetto dal maggiore e più radicale sindacato del settore, l'Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu).

A circa tre mesi infatti dalle elezioni presidenziali, il governo di Zuma e il suo partito l'African National Congress (Anc) rischiano di implodere sotto le pressioni contrapposte della classe dei lavoratori e delle forze sindacali da un lato e del top management delle multinazionali del platino dall'altro, oltreché degli strali delle agenzie di rating e dei mercati che hanno visto questa settimana il rand ai ribassi minimi sul dollaro (a 11 rand per dollaro e 15,5 rand per euro) per la prima volta dall'ottobre del 2008.

Tra gli 80 mila e i 100 mila minatori hanno preso parte allo sciopero iniziato giovedì scorso e ancora in corso nella cintura di platino a ridosso di Johannesburg chiedendo considerevoli aumenti salariali.

Le attività produttive sono ferme o hanno subito riduzioni e rallentamenti presso le miniere dell'Anglo American Platinum, dell'Impala Platinum e della Lonmin, vale a dire dei tre maggiori produttori di platino al mondo.

Salario di sussistenza

L'Amcu chiede un «salario di sussistenza» di 12,500 rand (circa 820 euro) pari a più del doppio dell'attuale retribuzione mensile di 5 mila rand (circa 320 euro). Richieste considerate invece «insostenibili e irrealistiche» dal tridente di comando del settore del platino che ha rilanciato offrendo aumenti del 7,5-8,5 % e superiori all'attuale tasso di inflazione del 5,3%.

Il tavolo delle trattative a cui i dirigenti dell'Anglo American Platinum (Amplats), dell'Impala Platinum (Implats) e della Lonmin hanno accettato di partecipare insieme a quelli dell'Amcu si è aperto venerdì mattina con la mediazione dei ministri del Lavoro Mildred Oliphant e delle Risorse Minerarie Susan Shabangu sotto l'egida della Commission for Conciliation, Mediation and Arbitration.

Si è concluso, dopo lunghe ore di negoziati, con una fumata nera per riprendere lunedì il braccio di ferro sulle richieste in questione, sotto il continuum di uno sciopero a oltranza a cui il sindacato non è disposto a concedere nessun break. Assenti questa volta sia i ministri che i dirigenti delle tre compagnie e lo stesso presidente dell'Amcu, Joseph Mathunjwa. Trattative in corso e in calendario per tre giorni, fino ad oggi, con flebili speranze di risoluzione più che con prospettive all'orizzonte, visto il tiro alla fune senza parvenza di compromessi da ambo le parti.

Ancora nessuna novità e nessun passo avanti, se non il fatto che sindacati e aziende restano agli antipodi. Lo sciopero dunque va avanti a oltranza tra i canti e gli slogan dei minatori in superficie che fanno eco fin nelle viscere di platino in una delle aree tanto ricche di minerali quanto pervase dalla rabbia e dalla povertà, dove quattro assi arrugginiti di latta fanno da casa a chi, per lo più analfabeta e senza un futuro lavorativo in ambiti professionali diversi, non ha altra scelta che prestare braccia e polmoni alla causa del profitto dei giganti dei mercati internazionali. Mentre il rand all'apertura dei mercati di ieri mattina aveva già perso un altro punto percentuale e il platino era in caduta libera a New York per il secondo giorno.

Dati allarmanti considerato che l'economia del Sudafrica, che possiede le maggiori riserve di platino al mondo, si basa sulle esportazioni di metallo per più della metà dei suoi guadagni in valuta estera.

«Il settore minerario è cruciale per l'economia sudafricana» aveva esordito il ministro delle finanze Pravin Gordhan il 24 gennaio scorso al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Aggiungendo che «il governo sta lavorando molto duramente per mediare alcune delle differenze tra datori di lavoro e sindacati» nel tentativo di far terminare gli scioperi e rimettere in moto la catena di produzione del tridente di fuoco.

Differenze e contrapposizioni di non poco conto che si affacciano di tanto in tanto a cadenza sempre più frequente nella giovane democrazia sudafricana e che hanno radici lontane. Differenze che le politiche del regime dell'apartheid hanno strutturato e perpetuato attraverso programmi educativi a parte e che la classe dirigente del Sudafrica libero non ha saputo sradicare. Mentre nessun reinvestimento degli utili a livello strutturale e programmatico è stato mai fatto dai colossi del settore minerario a favore delle comunità locali e a beneficio di una forza lavoro in balia di vecchi retaggi, di una classe politica corrotta e in una società in cui le differenze più che amalgamarsi convivono vite parallele.

Lo sciopero è il più imponente dopo quello fatale di Marikana del 2012 il cui tristissimo epilogo - 34 corpi di lavoratori sparsi per terra uccisi dal fuoco della polizia oltre a decine di feriti - rappresentando probabilmente la vergogna più grande o quella più inaspettata nel Sudafrica del post-apartheid - continua a pendere come una spada di Damocle sulle autorità, sulla classe industriale e su quella dei lavoratori. Un massacro da tempi di regime e da stato di polizia che ricorda tanto quello di Sharpeville del 1960 quando le raffiche dei poliziotti boeri fecero 69 vittime e centinaia di feriti tra i manifestanti che protestavano contro le restrizioni alla libertà di movimento e ai diritti civili del governo dell'apartheid. Il sangue versato e la ricchezza

«Da qui vogliamo ricordare che il loro sangue non è stato versato per nulla» ha urlato Joseph Mathunjwa, presidente dell'Amcu, parlando la scorsa settimana al Wonderkop stadium, circa 100 chilometri a nord-ovest di Johannesburg e vicino al posto del massacro di Marikana del 16 agosto 2012. Aggiungendo: «Vogliamo anche ricchezza, vogliamo sostenere e crescere i nostri figli». L'Amcu è emerso come sindacato alternativo nel corso del 2012 conquistandosi via via il 60% dei lavoratori di Amplats e il 66% di quelli della Lonmin. Rimpiazzando il sindacato storico del settore il National Union of Mineworkers (Num) e un vuoto della politica assordante.

Marikana 2012 è stata la Sharpeville del Sudafrica democratico e un evento con cui lo Stato, le classi economiche dirigenziali, quelle politiche e sindacali insieme agli stessi lavoratori e alla società civile, a distanza di circa 18 mesi, fanno tuttora i conti.

Ma mentre i bilanci dell'Amplats per il 2013, nonostante gli alti costi della produzione e il calo della domanda, registrano un aumento degli utili che vanno a compensare le perdite del 2012, a diciotto mesi da Marikana i minatori e le comunità locali che vivono a ridosso della ricca zona mineraria di Rustenberg continuano a lamentare squallide condizioni di vita tra baracche di lamiera spesso a corto di acqua ed elettricità.

Ragioni di stato e del profitto che non si incontrano con quelle della sopravvivenza e a cui, a 20 anni dall'inizio dell'era democratica per il Sudafrica, né la classe dirigente al governo né le multinazionali che operano in diversi settori, da quello agricolo a quello minerario, pare non abbiano la volontà di prestare orecchio.

di Rita Plantera

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Obama : Lo stipendio minimo dei contractor del governo sale da 7,25 a 10,10 dollari l'ora


Obama, 2014 anno della svolta per l'America. 
Aumenta il salario minimo dei dipendenti federali
 Lo stipendio minimo dei contractor del governo sale da 7,25 a 10,10 dollari l'ora


Il 2014 sarà l'anno della svolta per l'America, un anno di azione. È la solenne promessa di un Barack Obama più che mai determinato ad affermare la sua agenda politica e sociale, per troppo tempo rimasta ostaggio delle lotte tra partiti.

Uno stallo che il presidente americano - al suo quinto discorso sullo Stato dell'Unione - vuole sbloccare, senza arrendersi alla logica del muro contro muro imperante a Washington: «L'America non resterà immobile, e tantomeno il suo presidente», assicura. Ecco allora che Obama lancia la sfida: «Se il Congresso si rifiuterà di prendere le misure necessarie per sostenere la classe media, le famiglie americane, agirò per decreto». E lo farà ovunque sia necessario: dal salario minimo alla lotta alla disoccupazione, dall'immigrazione alla stretta sulle armi.


Obama annuncia una dozzina di decreti già pronti, pensati per far progredire le condizioni di vita di milioni di americani e per combattere le crescenti diseguaglianze. Diseguaglianze che ancora oggi penalizzano un bambino americano solo per la sua razza, o per il luogo in cui nasce. Senza contare le discriminazioni sulle donne: «Rappresentano la metà della forza lavoro - lamenta Obama - ma guadagnano meno, 77 centesimi per ogni dollaro guadagnato da un uomo: questo è sbagliato e imbarazzante nel 2014».

Come imbarazzante per il presidente è non garantire a tutti lo stesso standard di servizi sociali, a partire dagli asili nido. Obiettivo che può essere raggiunto solo con una profonda revisione del sistema fiscale. Sono tutti campi su cui il presidente auspica il dialogo, la cooperazione tra le forze politiche, il compromesso bipartisan. Ben sapendo però che il 2014 è anche un anno di elezioni, quelle di metà mandato, che si svolgeranno in novembre e che rinnoveranno l'intera Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato.

Opportunità per tutti è stato il tema portante del discorso del presidente degli Stati Uniti. Obama ha volato basso in quest'anno elettorale in cui difficilmente potrà strappare concessioni alla Camera a maggioranza repubblicana. La strategia di Obama è dunque quella di aggirare il Congresso attraverso l'emanazione di ordini esecutivi, come quello annunciato per alzare il salario minimo dei lavoratori federali da 7,25 dollari a 10,10 dollari l'ora.

«Ovunque e in qualunque momento possa fare passi avanti per aumentare le opportunità per le famiglie americane lo farò», ha detto. L'obiettivo rimane dunque quello di ridurre la disparità sociale e ricostruire la classe media. A questo scopo il presidente ha anche annunciato la creazione di un nuovo fondo pensione, aperto a tutti e al riparo dalle oscillazioni del mercato, dal nome MyRA, e un summit per discutere i modi migliori per aiutare le famiglie della classe operaia.

Sul fronte dell'occupazione, altro tema che rimane all'ordine del giorno del presidente, un programma di training servirà a formare una nuova classe di lavoratori e metterli in contatto con le aziende pronte ad assumere. Per accelerare la ripresa economica inoltre il presidente americano intende puntare sulle infrastrutture, in particolare rendendo più facili le pratiche per ottenere le licenze e accorciando i tempi burocratici.

Difficile però immaginare una tregua con la destra. Anche sulla riforma sanitaria, che Obama torna a difendere con forza e con orgoglio, nonostante gli abbia fatto perdere gran parte della sua popolarità: «Zero. Nessun americano resterà più senza una copertura», rivendica.

Obama non dimentica anche le enormi sfide in politica estera, a partire dall'Iran: «Se Kennedy e Reagan hanno trattato con l'Unione Sovietica, non vedo perché non lo possiamo fare con avversari meno forti. Abbiamo il dovere di provare», afferma, ribadendo come in questa fase opporrà il suo veto a nuove sanzioni contro Teheran. Poi rinnova la promessa su Guantanamo: «La chiuderemo quest'anno».

Obama promette un anno all'attacco, 
anche su clima ed energia.
 E sul fronte degli accordi commerciali,
 quello con l'Europa e quello con l'Asia e l'area del Pacifico.

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martedì 28 gennaio 2014

ECOLOGIA: I Rifiuti sono il Petrolio Italiano



I Rifiuti sono il Petrolio Italiano



I Rifiuti sono il Petrolio Italiano


La questione rifiuti ha messo a rischio la credibilità del sistema Italia nel mondo. L’incapacità delle nostre città nella gestione delle più elementari norme ambientali ha reso palese l’assenza di una qualsiasi programmazione di settore. Le mafie si sono dimostrate le realtà più pronte a sviluppare business all’interno delle maglie dell’inefficienza pubblica , inquinando aria, acqua, terra e generando così milioni di morti per...continua
ECOLOGIA: I Rifiuti sono il Petrolio Italiano: I Rifiuti sono il Petrolio Italiano La questione rifiuti ha messo a rischio la credibilità del sistema Italia nel mondo. L’incapacità...



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lunedì 27 gennaio 2014

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lunedì 20 gennaio 2014

CGIL e FIOM : Landini-Camusso, ormai è guerra


Landini-Camusso, ormai è guerra


Lo strappo sulla rappresentanza. La rottura al direttivo. Il leader Fiom: «Cgil senza democrazia, quell’accordo non è vincolante». L'intesa viene approvata, ma adesso la segretaria è molto contestata. I metalmeccanici non applicheranno il nuovo testo nelle imprese. Nicolosi: «Le sanzioni sono un freno ai delegati e al diritto di sciopero»
Un testo che limi­terà for­te­mente l’agibilità sin­da­cale, soprat­tutto quella dei dele­gati: quello appro­vato ieri sera dal diret­tivo Cgil – con 95 sì, 13 no e 2 aste­nuti – è una spe­cie di «mostro modi­fi­cato» rispetto all’accordo chiuso con le imprese il 31 mag­gio scorso, e la Fiom ha già annun­ciato che non lo applicherà.L’orrido «ogm sin­da­cale» è stato par­to­rito il 10 gen­naio, die­tro l’insistenza della Con­fin­du­stria, soste­nuta da Cisl e Uil, che ha pre­teso di intro­durre alcune novità chiave: e Susanna Camusso, rima­sta iso­lata, ha scelto di accet­tare e fir­mare.

 Nel nuovo testo sono stati inse­riti per ben 5 volte i ter­mini «san­zione» e «san­zio­nare» (ine­si­stenti nella ver­sione pre­ce­dente), men­tre si è pre­vi­sto che in attesa (e in assenza) dei con­tratti nazio­nali che que­ste san­zioni dovranno sta­bi­lire, sarà un col­le­gio arbi­trale (for­mato da rap­pre­sen­tanti delle con­fe­de­ra­zioni e delle imprese) a sta­bi­lire appunto le “puni­zioni” per chi non rispetta gli accordi. Un atten­tato, quindi, all’autonomia delle categorie.
Le pro­te­ste più forti sono venute dal segre­ta­rio della Fiom Mau­ri­zio Lan­dini, da Gianni Rinal­dini e dal segre­ta­rio con­fe­de­rale, coor­di­na­tore di Lavoro Società, Nicola Nico­losi. «Si è creata una frat­tura forte nella Cgil, e adesso sicu­ra­mente tutto il con­gresso verrà assor­bito da que­sto con­tra­sto sulla rap­pre­sen­tanza», spiega Nico­losi. Ieri sera dun­que si è rotta defi­ni­ti­va­mente la tre­gua, siglata fir­mando lo stesso docu­mento di mag­gio­ranza, tra Mau­ri­zio Lan­dini e Susanna Camusso, e i pros­simi mesi non saranno facili.Per­ché Lan­dini a que­sto punto ha deciso di andare per la pro­pria strada, annun­ciando che «per la Fiom, non essen­doci il voto dei lavo­ra­tori, quell’intesa non è da rite­nersi vin­co­lante»: quindi non verrà appli­cata nelle imprese dove la Fiom è pre­sente.

 Dall’altro lato, Camusso, che ha fatto dell’unità sin­da­cale il suo man­tra, si tro­verà schiac­ciata tra Confindustria-Cisl-Uil da un lato, e le pro­prie tute blu dall’altro: e tro­vare la sin­tesi, assi­cu­rare la pax che ha garan­tito finora, tanto più con la crisi che non accenna a finire e un con­te­sto poli­tico ancora con­fuso e mag­ma­tico, non sarà facile.

 Lan­dini ieri ha attac­cato Camusso fron­tal­mente, senza peli sulla lin­gua, accu­san­dola di non gestire la Cgil in modo demo­cra­tico, e di «aver messo il diret­tivo della Cgil di fronte a un testo già fir­mato». «Il modo in cui è stata gestita la vicenda è grave – ha detto il lea­der dei mec­ca­nici – per­ché non si mette il diret­tivo della Cgil di fronte a un accordo già fir­mato».

 E «fin­ché sono il segre­ta­rio della Fiom non accetto che qual­cuno al mio posto, sulla mia testa, fac­cia degli accordi senza met­tere nelle con­di­zioni gli iscritti e i dele­gati di poter intervenire».Tutto que­sto, ha aggiunto, «vuol dire che c’è anche un pro­blema di demo­cra­zia nella Cgil, si rende evi­dente che c’è una crisi demo­cra­tica del nostro sin­da­cato». «Io – ha spie­gato – sono pie­na­mente den­tro le regole e lo sta­tuto Cgil, ne chiedo l’applicazione.

Non è demo­cra­tico fir­mare un accordo e poi dire a tutti “ditemi di sì” per­ché altri­menti c’è la fidu­cia sul segre­ta­rio. Non si gesti­sce così un’organizzazione».

L’attacco a Camusso, da parte di un segre­ta­rio che ha sem­pre gestito i rap­porti Fiom-Cgil con cau­tela e diplo­ma­zia, è senza pre­ce­denti. Lan­dini, negando davanti ai gior­na­li­sti di voler uscire dalla Cgil – «Non ho nes­suna inten­zione di andare via, per­ché la Fiom è la Cgil» – ha chie­sto di sot­to­porre il testo a refe­ren­dum. «Ma – ha con­cluso – la pro­po­sta di Camusso è che decide il diret­tivo e non c’è alcuna con­sul­ta­zione.

Anzi ci sono le assem­blee infor­ma­tive di Cgil, Cisl e Uil da orga­niz­zare. I lavo­ra­tori però per me devono poter deci­dere su quello che li riguarda, non solo ascoltare».Sulla stessa linea, Nicola Nico­losi, la cui area Lavoro Società (18 per­sone) ha deciso di non par­te­ci­pare al voto: «Lo abbiamo fatto per­ché non rico­no­sciamo nean­che la legit­ti­mità di un voto simile, dove si chiede pra­ti­ca­mente di dire sì a deci­sioni già prese: impe­den­doci così di discu­tere del merito, e ridu­cendo tutto a un voto di fidu­cia sul segre­ta­rio gene­rale», spiega.

 Oltre ai 18 di Lavoro e società, man­cano all’appello altri 52 voti (il totale dei mem­bri del diret­tivo è di 180 per­sone, i 13 no sono quelli della Fiom). «Almeno una cin­quan­tina di per­sone della mag­gio­ranza per un motivo o per l’altro non hanno votato – dice Nico­losi – E se fossi il segre­ta­rio gene­rale, mi chie­de­rei dove sono finiti».Il ter­reno sotto Susanna Camusso, insomma, è diven­tato rovente.

E sep­pure la gran parte dei segre­tari di cate­go­ria l’appoggi, non è escluso che il con­gresso adesso si pola­rizzi, gra­zie al forte impatto media­tico di Mau­ri­zio Landini.E sul merito? Del col­le­gio arbi­trale, si è già detto: Lan­dini sicu­ra­mente non ha gra­dito che a giu­di­care del com­por­ta­mento delle sue strut­ture e dei suoi dele­gati, pos­sano essere i con­fe­de­rali, seduti allo stesso tavolo con mana­ger e imprenditori.

Quanto alle san­zioni (pre­vi­ste per chi non rispetta gli accordi fir­mati: sia il lavo­ra­tore, che la sua sigla sin­da­cale, che l’impresa), Nico­losi dice che «così si ini­bi­sce l’attività dei dele­gati, il diritto di scio­pero. Si met­tono paletti e buro­cra­zia su quello che dovrebbe essere spon­ta­neità e movi­mento. Ci stiamo ammaz­zando da soli: senza dele­gati il sin­da­cato è desti­nato a sparire».

Cgil, il documento alternativo alla Fiom: "Rompete con la maggioranza"

I sostenitori del documento alternativo "Il sindacato è un'altra cosa" (di cui è leader Giorgio Cremaschi) che non hanno partecipato al voto nel direttivo Cgil dell'altro giorno, quello convocato per approvare l'accordo sulla rappresentanza, considerano quel testo una violazione dello statuto della Cgil e quindi sono pronti a ricorrere alle vie formali: "Né la segreteria né il direttivo - si legge in una nota - hanno il potere di non rispettare o di cambiare nei fatti lo statuto dell'organizzazione". "La sostanza è che con la sentenza di luglio - si legge in un comunicato - la Corte Costituzionale ha affermato che non si possono condizionare la rappresentanza e i diritti sindacali all'obbligo della firma degli accordi.

 E ancora di più che i lavoratori hanno diritto a scegliere liberamente chi li deve rappresentare.

 L'accordo sulla rappresentanza nega queste principi, come definirlo se non incostituzionale?" Gli altri passaggi che il documento alternativo considera non leciti riguardano le procedure di decisione e arbitrato sull'attività sindacale, le sanzioni anche pecuniarie per le strutture e i lavoratori che fanno i delegati, le regole e lo spirito dell'intesa sulla rappresentanza violano lo spirito e le norme della costituzione democratica della CGIL. "Si costituisce un sistema sindacale aziendalista e al tempo stesso centralizzato in forma autoritaria, le autonomie delle categorie e i diritti democratici degli iscritti sono tutti sottoposti al controllo di conformità all'accordo.

La CGIL, se applica l'accordo, deve non rispettare il proprio statuto", si legge ancora. "Il sindacato è un'altra cosa" non può non sottolineare come lo scontro sulla rappresentanza ha provocato l'esplosione della maggioranza che da poco si era presentata assieme nel congresso. "Nel direttivo nazionale Susanna Camusso e Maurizio Landini si sono affrontati con una durezza rara. E con accuse che se portate avanti coerentemente non possono che mettere reciprocamente in discussione il ruolo e la persona". Landini è arrivato ad affermare che non rispetterà le decisioni del direttivo "e siamo d'accordo", "abbiamo subito sostenuto che a questa intesa si disobbedisce, che nostro primo compito è farla saltare rendendola inapplicabile".

Il documento coglie "due grandi contraddizioni nella posizione del segretario della FIOM".

La prima, sulla quale ha giocato Susanna Camusso, è che l'intesa del 10 gennaio applica quella del 31 maggio scorso.
 La seconda contraddizione è che non si può dire che non si accettano le decisioni del direttivo e poi continuare a far parte della maggioranza. "La FIOM nazionale ha sospeso i congressi e svolgerà assemblee di delegati. Poi pare che Landini e la sua area abbiano intenzione di presentare emendamenti contro l'accordo, emendamenti al documento firmato da Susanna Camusso.

 Ma scherziamo? Si afferma, giustamente, che è in discussione la democrazia in CGIL e poi tutto questo si traduce in una nuova postilla al documento Camusso?". "Non chiediamo a Landini di venire nel documento alternativo, anche se non siamo degli appestati. Rompa lui con il documento che in premessa esalta l'accordo del 31 maggio e passi lui, nei suoi modi, all'opposizione in CGIL. Faccia questa scelta e noi troveremo il modo di fare una battaglia comune, passando sopra a tutte le cattiverie che abbiamo subito. Ma rompa sul serio e prima di tutto ritiri la firma dal documento Camusso".

 Il documento "Il sindacato è un'altra cosa" sostiene che presentare ora agli iscritti il documento di maggioranza come se niente fosse, mentre i leader di quella maggioranza si dividono e scontrano sulla natura stessa della CGIL, "non sarebbe solo un intollerabile inganno, ma una scelta poco seria".



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sabato 18 gennaio 2014

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Selezione CAPO PROGETTO SVILUPPO SOFTWARE - Sede Villanova di Catenaso Coop Adriatica Sede Coop Adriatica per la propria sede di Villanova di Castenaso (BO) ricerca

Capo Progetto Sviluppo Software



La figura, inserita all’interno dell’area Sistemi Informativi, è responsabile della realizzazione dei progetti di software applicativo, con l’obiettivo di rilasciare prodotti applicativi di elevata qualità, integrati all’interno delle architetture tecnologiche ed applicative dell’azienda; governa le attività progettuali inerenti la gestione di tempi e risorse e gestisce le relazioni con i fornitori per tutta la durata dei progetti e cura la successiva parte di manutenzione correttiva ed evolutiva dell’applicazione.

E’ richiesta un’esperienza minima di:

3 anni di programmazione, 1 anno di gestione sviluppi sw e 1 anno di gestione di progetti applicativi di media dimensione. E’ richiesta la conoscenza del DBMS Oracle e dei linguaggi di programmazione PL/SQL , Java.

Costituirà requisito preferenziale avere acquisito le competenze sopra indicate nell’ambito della gestione di processi tipici della gestione commerciale nella Grande Distribuzione Organizzata e la conoscenza di Oracle Forms & Reports.

leggi tutto qui : http://www.e-coop.it/web/guest/lavora-con-noi?p_p_id=cooplavoraConNoi_WAR_cooplavoraConNoiportlet&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&p_p_mode=view&p_p_col_id=column-2&p_p_col_count=1&_cooplavoraConNoi_WAR_cooplavoraConNoiportlet_javax.portlet.action=offerteCv&TIME=1373528228402






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lunedì 13 gennaio 2014

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mercoledì 8 gennaio 2014

Camusso segretario Cgil : sostegno al reddito durante la disoccupazione



Il segretario Cgil intervistato da la Stampa: serve un sistema di ammortizzatori sociali che garantisca diritti, qualunque sia il settore e la modalità con cui si lavora e anche quando si perde il posto. Con 7-8 miliardi all'anno la riforma è possibile

Cosa significa un sistema di ammortizzatori «universale» per la Cgil? E' quello che spiega oggi, in un'intervista pubblicata da La Stampa, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che interviene così nel dibattito sul Job Act che il Pd si appresta a lanciare. Per Camusso, “la radice del problema è dare diritti ai lavoratori qualunque sia il settore e la modalità con cui lavorano”.

Dunque, serve ad un primo livello “un sistema di Cassa integrazione per tutte le dimensioni di impresa, con la stessa contribuzione, che risponda alle ristrutturazioni aziendali, alle crisi e alle fermate temporanee” e in secondo luogo, continua Camusso, “chiamatelo come vi pare”, ma “serve un sostegno al reddito durante la disoccupazione”.

Per il segretario Cgil, le riforme introdotte dalla ex ministro Fornero non hanno fatto altro che generare nuove differenze, mentre è evidente che “occorre uno strumento che interviene a favore di chiunque perda il lavoro, anche se questo lavoro è precario, o finto autonomo, come tante partite Iva o gli 'associati in partecipazione'”.

Sul metodo di finanziamento di un sistema nuovo come questo, Camusso osserva che “in tutto il mondo imprese e lavoratori contribuiscono al finanziamento del sistema di disoccupazione. Poi si può pensare che una volta creato un sistema universale di Cig, le risorse che oggi alimentano la cassa in deroga possano essere deviate sul sostegno alla disoccupazione dei lavoratori precari. E in ogni caso bisogna evitare dispersioni: il ministro Giovannini vuole sviluppare i fondi bilaterali previsti dalla riforma Fornero, ma è un errore. Perché ancora una volta si accrescono le diseguaglianze tra i lavoratori e finirà che bisognerà disperdere altre risorse”. Per cominciare, comunque, secondo Camusso, “si può usare una parte consistente dei fondi per la formazione professionale”.

Ma a quanto ammontano le risorse necessarie per un simile progetto di riforma? “Considerando che abbiamo speso quasi 3 miliardi ogni anno per la Cig in deroga – risponde il segretario Cgil - sono necessari 7-8 miliardi l'anno. Dopodiché puoi anche partire gradualmente, in progressione”.

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domenica 5 gennaio 2014

Bonus per Disoccupati, 700 euro per 6 mesi



Bonus per Disoccupati, 700 euro per 6 mesi.

Stanziati 16 milioni di euro, chi può fare domanda ?

Arrivano i nuovi sussidi straordinari per disoccupati, una sorta di una tantum rivolto alle persone che hanno perso il lavoro e che non possono beneficiare di altri ammortizzatori sociali o che non ne usufruiscano da più di 24 mesi. Il sussidio verrà erogato per sei mesi per un valore massimo di 700 euro mensili.

Si prevede che i sussidi erogati saranno circa 4.000, di cui 1600 per gli edili e 2200 per gli altri lavoratori, naturalmente fino ad esaurimento delle risorse disponibili, che sono pari a 16 milioni e mezzo di euro, per i disabili è riservata una quota di un milione di euro. Tale budget è messo a disposizione dalla Regione Sardegna.


I beneficiario di tale sussidio, verranno impiegati in servizi di pubblica utilità, secondo i programmi predisposti dalle amministrazioni locali. I fruitori di tali bonus, esclusivamente residenti in Sardegna con un’età compresa tra i 18 e i 65 anni, dovranno prestare la loro opera al comune di domicilio per 80 ore mensili, suddivise in 20 ore settimanali.

Possono beneficiare del contributo coloro che a partire dal 14 maggio 2009, abbiano lavorato nell’isola con contratto a tempo indeterminato, a tempo determinato o atipico, per almeno tre mesi, anche non continuativi, in possesso dello status di disoccupato, attestato dalla scheda anagrafica professionale e dalla dichiarazione di immediata disponibilità. Possono beneficiare del bonus anche i lavoratori a cui è stata sospesa la cassa integrazione da almeno tre mesi per cause non imputabili alla loro volontà e i dipendenti di aziende in crisi, che non ricevono la retribuzione da almeno 90 giorni.

Le domande dovranno essere presentate esclusivamente online sul 

sito www.sardegnalavoro.it a partire dal prossimo 6 dicembre 2013.

 Per ulteriori informazioni visitate il sito della Regione Sardegna.

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