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mercoledì 29 gennaio 2014

Sud Africa: minatori bloccano la produzione


Sud Africa: minatori bloccano la produzione

A 18 mesi dalla strage di Marikana e a tre dal voto, i lavoratori non si arrendono 
e chiedono aumenti.
 Ma i giganti mondiali del settore non cedono

Cape Town - Sono giornate al cardiopalma non solo per il ministro delle Finanze Pravin Gordhan ma per l'intero establishment governativo della Rainbow Nation e per il gotha manageriale dei colossi mondiali della produzione del platino, paralizzata ormai da giorni da un mega sciopero a oltranza dei minatori indetto dal maggiore e più radicale sindacato del settore, l'Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu).

A circa tre mesi infatti dalle elezioni presidenziali, il governo di Zuma e il suo partito l'African National Congress (Anc) rischiano di implodere sotto le pressioni contrapposte della classe dei lavoratori e delle forze sindacali da un lato e del top management delle multinazionali del platino dall'altro, oltreché degli strali delle agenzie di rating e dei mercati che hanno visto questa settimana il rand ai ribassi minimi sul dollaro (a 11 rand per dollaro e 15,5 rand per euro) per la prima volta dall'ottobre del 2008.

Tra gli 80 mila e i 100 mila minatori hanno preso parte allo sciopero iniziato giovedì scorso e ancora in corso nella cintura di platino a ridosso di Johannesburg chiedendo considerevoli aumenti salariali.

Le attività produttive sono ferme o hanno subito riduzioni e rallentamenti presso le miniere dell'Anglo American Platinum, dell'Impala Platinum e della Lonmin, vale a dire dei tre maggiori produttori di platino al mondo.

Salario di sussistenza

L'Amcu chiede un «salario di sussistenza» di 12,500 rand (circa 820 euro) pari a più del doppio dell'attuale retribuzione mensile di 5 mila rand (circa 320 euro). Richieste considerate invece «insostenibili e irrealistiche» dal tridente di comando del settore del platino che ha rilanciato offrendo aumenti del 7,5-8,5 % e superiori all'attuale tasso di inflazione del 5,3%.

Il tavolo delle trattative a cui i dirigenti dell'Anglo American Platinum (Amplats), dell'Impala Platinum (Implats) e della Lonmin hanno accettato di partecipare insieme a quelli dell'Amcu si è aperto venerdì mattina con la mediazione dei ministri del Lavoro Mildred Oliphant e delle Risorse Minerarie Susan Shabangu sotto l'egida della Commission for Conciliation, Mediation and Arbitration.

Si è concluso, dopo lunghe ore di negoziati, con una fumata nera per riprendere lunedì il braccio di ferro sulle richieste in questione, sotto il continuum di uno sciopero a oltranza a cui il sindacato non è disposto a concedere nessun break. Assenti questa volta sia i ministri che i dirigenti delle tre compagnie e lo stesso presidente dell'Amcu, Joseph Mathunjwa. Trattative in corso e in calendario per tre giorni, fino ad oggi, con flebili speranze di risoluzione più che con prospettive all'orizzonte, visto il tiro alla fune senza parvenza di compromessi da ambo le parti.

Ancora nessuna novità e nessun passo avanti, se non il fatto che sindacati e aziende restano agli antipodi. Lo sciopero dunque va avanti a oltranza tra i canti e gli slogan dei minatori in superficie che fanno eco fin nelle viscere di platino in una delle aree tanto ricche di minerali quanto pervase dalla rabbia e dalla povertà, dove quattro assi arrugginiti di latta fanno da casa a chi, per lo più analfabeta e senza un futuro lavorativo in ambiti professionali diversi, non ha altra scelta che prestare braccia e polmoni alla causa del profitto dei giganti dei mercati internazionali. Mentre il rand all'apertura dei mercati di ieri mattina aveva già perso un altro punto percentuale e il platino era in caduta libera a New York per il secondo giorno.

Dati allarmanti considerato che l'economia del Sudafrica, che possiede le maggiori riserve di platino al mondo, si basa sulle esportazioni di metallo per più della metà dei suoi guadagni in valuta estera.

«Il settore minerario è cruciale per l'economia sudafricana» aveva esordito il ministro delle finanze Pravin Gordhan il 24 gennaio scorso al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Aggiungendo che «il governo sta lavorando molto duramente per mediare alcune delle differenze tra datori di lavoro e sindacati» nel tentativo di far terminare gli scioperi e rimettere in moto la catena di produzione del tridente di fuoco.

Differenze e contrapposizioni di non poco conto che si affacciano di tanto in tanto a cadenza sempre più frequente nella giovane democrazia sudafricana e che hanno radici lontane. Differenze che le politiche del regime dell'apartheid hanno strutturato e perpetuato attraverso programmi educativi a parte e che la classe dirigente del Sudafrica libero non ha saputo sradicare. Mentre nessun reinvestimento degli utili a livello strutturale e programmatico è stato mai fatto dai colossi del settore minerario a favore delle comunità locali e a beneficio di una forza lavoro in balia di vecchi retaggi, di una classe politica corrotta e in una società in cui le differenze più che amalgamarsi convivono vite parallele.

Lo sciopero è il più imponente dopo quello fatale di Marikana del 2012 il cui tristissimo epilogo - 34 corpi di lavoratori sparsi per terra uccisi dal fuoco della polizia oltre a decine di feriti - rappresentando probabilmente la vergogna più grande o quella più inaspettata nel Sudafrica del post-apartheid - continua a pendere come una spada di Damocle sulle autorità, sulla classe industriale e su quella dei lavoratori. Un massacro da tempi di regime e da stato di polizia che ricorda tanto quello di Sharpeville del 1960 quando le raffiche dei poliziotti boeri fecero 69 vittime e centinaia di feriti tra i manifestanti che protestavano contro le restrizioni alla libertà di movimento e ai diritti civili del governo dell'apartheid. Il sangue versato e la ricchezza

«Da qui vogliamo ricordare che il loro sangue non è stato versato per nulla» ha urlato Joseph Mathunjwa, presidente dell'Amcu, parlando la scorsa settimana al Wonderkop stadium, circa 100 chilometri a nord-ovest di Johannesburg e vicino al posto del massacro di Marikana del 16 agosto 2012. Aggiungendo: «Vogliamo anche ricchezza, vogliamo sostenere e crescere i nostri figli». L'Amcu è emerso come sindacato alternativo nel corso del 2012 conquistandosi via via il 60% dei lavoratori di Amplats e il 66% di quelli della Lonmin. Rimpiazzando il sindacato storico del settore il National Union of Mineworkers (Num) e un vuoto della politica assordante.

Marikana 2012 è stata la Sharpeville del Sudafrica democratico e un evento con cui lo Stato, le classi economiche dirigenziali, quelle politiche e sindacali insieme agli stessi lavoratori e alla società civile, a distanza di circa 18 mesi, fanno tuttora i conti.

Ma mentre i bilanci dell'Amplats per il 2013, nonostante gli alti costi della produzione e il calo della domanda, registrano un aumento degli utili che vanno a compensare le perdite del 2012, a diciotto mesi da Marikana i minatori e le comunità locali che vivono a ridosso della ricca zona mineraria di Rustenberg continuano a lamentare squallide condizioni di vita tra baracche di lamiera spesso a corto di acqua ed elettricità.

Ragioni di stato e del profitto che non si incontrano con quelle della sopravvivenza e a cui, a 20 anni dall'inizio dell'era democratica per il Sudafrica, né la classe dirigente al governo né le multinazionali che operano in diversi settori, da quello agricolo a quello minerario, pare non abbiano la volontà di prestare orecchio.

di Rita Plantera

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